Nei dieci punti che, nelle intenzioni di Marx e Engels, avrebbero dovuto delineare il programma politico dei partiti comunisti di tutta Europa, al terzo posto, vi era l’abolizione del diritto di successione. Secondo Marx e Engels, l’eredità avrebbe avvantaggiato i figli dei più benestanti. In questo modo i figli dei proletari (o dei meno abbienti in generale) avrebbero avuto la vita in salita fin dalla nascita. Una triste predestinazione.
Nonostante la distanza che c’è tra chi scrive e il marxismo, queste considerazioni non possono che essere prese in considerazione da chiunque abbia buonsenso. Ma il mondo ideale non è che un’astrazione. Il mondo reale, un groviglio di relazioni, rapporti, persone ci lancia delle sfide più complesse.
Il tema della tassa sulla successione, infatti, tocca un tasto estremamente dolente, soprattutto in Italia: quello della famiglia.
Questo ci porta a una digressione di cui è necessario tenere conto, quando si discute di tassa di successione in un paese come l’Italia.
I sistemi economici, lontani dall’essere un qualcosa di naturale, sono basati su regole e interazioni sociali che stanno alla base del vivere comune. Una volta stabiliti i sistemi economici, che sono espressioni sia di un corpus giuridico sia di innovazione tecnologiche, i due mondi si intersecano. Non possiamo infatti accettare nè la visione marxiana del materialismo storico né una visione che dà, al contrario, il primato all’antropologia. Si tratta di due mondi che comunicano.
Il capitalismo italiano, che si è affermato dal dopoguerra in poi, si è innestato su una società fortemente legata alla famiglia. Non è infatti un caso che l’Italia abbia legalizzato il divorzio solo in tempi recenti rispetto a paesi come la Francia.
Se, quindi, secondo Weber lo spirito del capitalismo è generato, nei paesi germanici, dall’etica protestante, in Italia questo si è dovuto adattare all’ospite, ovvero alla società incentrata su rapporti familiari piuttosto stretti.
L’evoluzione del capitalismo italiano non ha di certo abbandonato questa sua caratteristica. Quando parliamo di grandi gruppi industriali italiani, spesso e volentieri parliamo di dinastie familiari, come gli Agnelli o i Della Valle o i Ferrero o i Benetton.
Non è un caso: la struttura familiare, un prodotto questo della cultura romana e cristiana, fa da spalla allo sviluppo capitalista. Il capitalismo, diversamente da come lo vedono taluni ancora legati a certe proprietà taumaturgiche del mercato, si basa sull’accentramento dei capitali.
Ma anche tra chi non detiene un patrimonio ingente, la famiglia è un tema non indifferente. Lo stretto inserimento dell’individuo singolo nell’ambiente familiare fa sì che questo contribuisca, anche in giovane età, all’economia della famiglia, così come ne pagherà i sacrifici.
Senza parlare della quantità ingente di risparmio privato depositata nei conti correnti, obbligazioni, azioni etc. che detengono le famiglie italiane.
Questa sintetica e di sicuro incompleta panoramica ci fornisce un quadro più chiaro delle difficoltà in Italia di una seria riforma del diritto di successione.
Allo stesso tempo tuttavia il tema della famiglia si lega a quello, ben più ampio, delle disuguaglianze, come accennavo all’inizio. Il grafico qui sotto riportato mostra l’andamento del capitale privato e il peso dell’eredità.
Si tratta di una tendenza ben chiara ormai dalla fine dei Gloriosi Trent’anni: la famiglia da cui provieni determina una parte significativa del tuo destino. Questo è confermato dal report sulla Mobilità Sociale in Italia dell’OECD. Qualche dato ci aiuta a capire meglio la situazione: il 40% dei figli di coloro che svolgono lavori manuali svolgerà un lavoro simile; il 31% dei figli con padri a basse retribuzioni tendono ad avere, a loro volta, basse retribuzioni; oltre il 60% di coloro che hanno genitori con un titolo di studio basso segue le orme dei genitori (stima, questa, nettamente in contrasto con gli altri paesi sviluppati).
Abbiamo quindi due temi fondamentali: da una parte combattere la forma di predestinazione causata dal peso sempre più ingombrante dell’eredità e del contesto familiare sul futuro dell’individuo; dall’altra un contesto sociale in cui la famiglia gioca un ruolo centrale.
Ovviamente una riforma dell’imposta di successione non risolverebbe la questione delle disuguaglianze e la scarsa mobilità sociale. Ma costituirebbe un tassello importante di una revisione complessiva del sistema tributario italiano, sbilanciato sul lato del lavoro e del reddito.
L’imposta sulla successione, infatti, nel nostro paese ha un gettito che per usare un eufemismo è esiguo. I nostri partner europei incassano fino a 13 volte di più rispetto a noi.
Una riforma, quindi, dell’imposta sulle successioni si rende quantomai necessaria. Affinché, come dicevamo prima, non vada ad impattare sulla classe media, di per sé impoverita in questi anni, la necessità di abbassare la franchigia, piuttosto alta, deve andare di pari passo con un sistema di aliquote altamente progressivo.
[…] paesi a noi affini come la Francia lo Stato incassa da questa 23 volte di più rispetto a noi. Se, come abbiamo già scritto altrove, questa riforma della tassa di successione deve essere calibrata sulla società in cui viviamo, […]