Nelle ultime settimane il prezzo del petrolio è crollato per l'effetto combinato della crisi economico-finanziaria e della guerra sui prezzi tra Russia e Arabia Saudita. Nella notte italiana tra il 29 e il 30 marzo, per effetto del crollo della domanda, della drammatica crescita della capacità d'offerta dei produttori e delle incertezze mondiali, il prezzo del greggio sui mercati asiatici ha conosciuto un tonfo sotto i 20 dollari al barile, mentre nella media delle ultime sedute il Brent e il Wti, bancati rispettivamente a circa 23,50 e 21 dollari al barile, sono ai minimi dal 2003.
Il ridimensionamento del prezzo del greggio rispetto a gennaio fa tornare alla mente la crisi energetica seguita alla guerra dello Yom Kippur nel 1973. Con l'aggiunta dell'incognita della ripresa mondiale dopo l'epidemia di coronavirus: l'economia della globalizzazione ha conosciuto a lungo un circolo virtuoso tra sostenuto aumento della domanda petrolifera, spinta crescita economica dei Paesi da cui questo incremento proveniva, conseguenti condizioni favorevoli per diversi produttori e, infine, circolo dei petrodollari ottenuti dal commercio del greggio in investimenti economici e finanziari. Ora il meccanismo rischia di rompersi. Le compagnie energetiche devono cercare leve cui appoggiarsi per non affossarsi e una di queste è il prezzo della benzina.
In occasione di ogni crisi dei prezzi del petrolio e di avvitamento degli stessi la domanda tra i cittadini e l'opinione pubblica torna con frequenza: perché il prezzo del petrolio e della benzina non vanno di pari passo? Nelle ultime settimane il greggio sui mercati internazionali è crollato di valore di circa il 60%, mentre la benzina ha visto i suoi prezzi calare di circa il 5% sul mercato italiano. A determinare tale sfasamento concorre una vasta gamma di fattori.
In primo luogo, il peso non totalmente determinante del prezzo del greggio su quello del prodotto finito. Processi come la lavorazione, la raffinazione, lo stoccaggio e la distribuzione del prodotto finito mantengono il loro costo, generalmente, anche di fronte a un calo della materia prima. La sua incidenza sul prezzo della benzina si attesta attorno al 20%.
Vi è poi il peso delle accise sulla benzina e dell'Iva che aumentano notevolmente il costo della benzina e del diesel alla pompa. Come fa notare Proiezioni di Borsa, per ogni litro di benzina l'effetto combinato di accise e Iva al litro "è di 0,8742€, mentre su quello del diesel è 0,7432€. Basterebbe togliere l’Iva dalle accise, come a volte si sente dire, per ridurre il prezzo della benzina e del diesel di circa 0,16€ e di circa 0,13€, rispettivamente".
In terzo luogo, vi è la politica discrezionale delle compagnie energetiche che devono preservare il funzionamento della filiera, garantendo coi guadagni da prodotto finito il senso al proseguimento dell'opera di estrazione e raffinazione dei prodotti petroliferi, e preservare la rete di distributori da possibili scenari di dissesto. Mediamente, secondo le stime più accreditate, un distributore guadagna 3 centesimi al litro in caso di rifornimento self-service e 5 centesimi in caso di servizio. Federpetroli stima nell'80% la percentuale di perditita di fatturato della rete distributiva nella settimana dal 6 al 13 marzo scorso, uno scenario che di fronte al rallentamento del Paese non può che essersi consolidato.
Come visto, la corrispondenza tra prezzo del petrolio e prezzo della benzina non è biunivoca. Il peso del prodotto greggio è importante nella quota complessiva del costo della benzina alla pompa, ma non risolutore e tale da determinare un decremento parallelo.
Da notare il peso preponderante delle tasse e, soprattutto, delle accise, rappresentanti un costo fisso che, in una fase di caduta dei prezzi sotto gli 1,50 euro al litro, può coprire fino al 50% dell'esborso dei consumatori. Un vincolo molto più pesante di quello rappresentato dal semplice prezzo dell'oro nero.