“Lavoro e salari” (L'asino d'oro Edizioni) è l'ultimo libro scritto dalla professoressa Antonella Stirati, docente ordinario di Economia Politica presso il dipartimento di economia dell’Università Roma Tre.
Fin dalla prefazione l’autrice mette in luce il suo obiettivo principale, ossia la critica alla visione mainstream dell’analisi economica e il ribaltamento di alcuni luoghi comuni all’interno delle discussioni economiche. La flessibilità del lavoro e i bassi salari non generano maggior occupazione ma possono addirittura avere effetti negativi sulla crescita; la crisi dei debiti sovrani non è avvenuta per colpa degli alti debiti pubblici ma per l’architettura dell’Unione Monetaria Europea; le politiche di austerità e quindi il taglio alla spesa pubblica non diminuiscono il rapporto debito pubblico/Pil, anzi lo aumentano.
La professoressa Stirati, durante il percorso che accompagna il lettore fino alla fine del libro, non nasconde mai di essere un’economista eterodossa, anzi lo afferma più volte. Infatti, nella prima parte del libro evidenzia i vari appelli fatti da lei e altri economisti nel 2010 contro le politiche di austerità che venivano allora indicate dalle istituzioni europee e successivamente adottati dai governi, tra cui quello italiano.
La sua iniziale critica è che le teorie eterodosse o diverse da quella mainstream non abbiano avuto abbastanza risalto né nella discussione pubblica né tantomeno nell’ambito accademico, dove la visione neoclassica e liberista è prevalente. Dunque, scopo del libro è di raggiungere un pubblico più vasto dei soli esperti di economia, per una visione diversa da quella comunemente narrata.
Il libro è suddiviso in tre parti e la prima si concentra su due concetti. Il primo è che le politiche restrittive intraprese dai paesi in difficoltà dal 2008 hanno fatto aumentare il rapporto debito pubblico/Pil e non di certo l’hanno diminuito. Infatti, le politiche di austerità hanno portato alla diminuzione del denominatore del rapporto, più che proporzionalmente rispetto al numeratore.
Il secondo è che i tagli alla spesa hanno invece aumentato le disuguaglianze di reddito, che creano anche un contrasto alla crescita economica, visto che la propensione marginale al consumo diminuisce al crescere del reddito. Proprio per questo motivo una maggiore disuguaglianza comporta una domanda aggregata più bassa. Non ritenendo valida la legge di Say, secondo la quale l’offerta genera la domanda, ma riprendendo invece le idee di Keyne, secondo cui la domanda genera l’offerta, l’autrice mette in rilievo il suo pensiero che la disuguaglianza economica è motivo di una crescita più lenta, poiché destabilizza i consumi e l’occupazione.
L’altro argomento in questa prima parte del libro su cui si focalizza la professoressa Stirati è quello della flessibilità del mercato del lavoro e dell’occupazione: la teoria dominante suggerisce la deregolamentazione del mercato del lavoro e una maggiore flessibilità dei salari e dei contratti di lavoro per ridurre la disoccupazione. Tutto ciò è basato sulla relazione inversa tra salario reale e livello di occupazione. L’idea è che la diminuzione dei salari possa creare maggiore competitività per un paese come l’Italia che non può più controllare i tassi di cambio con gli altri paesi per via della moneta unica. Inoltre, salari più bassi dovrebbero portare ad una localizzazione delle imprese nel paese che effettua tali scelte.
L’autrice evidenzia tutte le debolezze di questi ragionamenti: la relazione inversa tra salario reale e occupazione non è dimostrabile empiricamente. La diminuzione dei salari e quindi una contrazione della propensione marginale al consumo collettiva provoca una diminuzione della domanda aggregata e di conseguenza della produzione e degli occupati, come spiegato nella Teoria generale di Keynes.
Il problema della flessibilità dei salari è che ci potrebbe essere una deflazione salariale generale nell’area euro, che non porterebbe a nessun aumento di competitività relativa. Nei paesi extra-UE, l’apprezzamento dell’euro difficilmente può essere bilanciato da questa diminuzione dei prezzi. Gli studi citati nel libro mostrano che la diminuzione dei salari non provoca una diminuzione dei prezzi, che se in ogni caso avvenisse non sarebbe della stessa proporzione. E se i salari non diminuiscono quanto i prezzi, si riduce la possibilità di un miglioramento delle esportazioni. L’unico effetto è la caduta del potere di acquisto dei salari, con le conseguenze spiegate precedentemente, ovvero una diminuzione della produzione e dell’occupazione.
Nella seconda parte del libro sono presenti vari articoli scritti dalla Professoressa Stirati e pubblicati su note riviste economiche dalla crisi del 2008, fino all’avvento della pandemia odierna.
Oltre all’esposizione dei dati sulla distribuzione del reddito e sull’occupazione nei vari anni in Italia, si trovano articoli estremamente interessanti che analizzano le scelte economiche prese dalla politica italiana: dalle manovre restrittive di Mario Monti nella crisi dei debiti sovrani fino alla critica al Jobs Act del governo Renzi del 2015, che ha proseguito le riforme liberiste della flessibilità del lavoro (o precarizzazione dei lavoratori, soprattutto giovani e donne) intraprese dagli anni ’90 e 2000 con le leggi Treu e Biagi.
È presente anche un’osservazione sul voto del 2018 che ha premiato i partiti anti-establishment, ovvero il Movimento 5 Stelle e la Lega, trovando una spiegazione economica alla scelta degli italiani.
In questa parte del libro lo sguardo sembra essere rivolto alla sinistra italiana che negli ultimi decenni ha sempre più abbracciato l’ideologia liberista. Forse è proprio da queste riflessioni economiche presenti nel libro che i movimenti progressisti dovrebbero ripartire.
La terza parte del libro è dedicata alla storia del pensiero economico e in particolare sulle diverse teorie dell’occupazione, dagli economisti classici fino a Sraffa.
Il libro riprende inizialmente le teorie degli economisti classici sull’occupazione, che generalmente accettavano la legge di Say, ma non quella della piena occupazione in equilibrio generale dei successivi monetaristi. L’autrice inquadra poi il pensiero di Marx, che era stato uno dei primi a criticare la legge di Say e quindi a pensare alla possibilità di crisi di sovrapproduzione.
Successivamente è analizzato il pensiero di Keynes, che stravolse completamente l’analisi economica precedente con il suo principio della domanda effettiva, ma senza mettere in discussione i fondamenti nella teoria marginalista, cioè le curve di domanda del lavoro e dell’investimento. L’ultimo capitolo è dedicato agli sviluppi al di fuori del mainstream, come il pensiero di Sraffa.
"Lavoro e salari" di Antonella Stirati ci ricorda che nelle scienze sociali come l’economia è fondamentale che sia stimolato il confronto fra visioni diverse. È da sottolineare che nel corso di tutto il libro l’autrice lascia molto spazio alle spiegazioni delle teorie economiche mainstream, per poi criticarle. Il lettore quindi non avrà solo una posizione di una corrente di pensiero sui vari argomenti, bensì ne avrà una pluralità per potersi fare una propria opinione.
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