Tra il luglio e l’agosto del 2020 il governo Conte II compiva un grande passo verso l’inizio di una modernizzazione infrastrutturale più integrale per il Paese. O forse sarebbe meglio dire due passi. Sì, perché con la presentazione del piano #Italiaveloce l’esecutivo individuava le grandi opere poi definite come "irrinunciabili" e le inseriva quindi in una corsia preferenziale. Con la successiva approvazione del Decreto Semplificazioni si fornivano alcuni strumenti utili per non incagliarsi nel Codice degli Appalti evitando le gare e operando in base alle manifestazioni d’interesse per le piccole opere. Ma, per le «opere di elevato grado di complessità», veniva disposta la nomina di commissari straordinari per ogni cantiere, incaricati di seguire e controllare tutto l’iter, con ampi poteri derogatori.
Tuttavia, i commissari sono stati designati solo lo scorso 21 gennaio come ultimo atto del governo Conte II. Il motivo di tale ritardo è semplice da spiegare, ma meno semplice da giustificare: la Presidenza del Consiglio ha chiesto al Ministro dell’Economia un’analisi costi-benefici. Il punto, però, è che questa era già stata fatta redigere dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti precedente a Paola De Micheli, Danilo Toninelli. Ovviamente la seconda analisi non è risultata diversa dalla prima. Ciò si capisce ancor meno se consideriamo che il Presidente del Consiglio è rimasto Conte. I numeri sono allora una questione politica? In un certo senso sì. Le alleanze sono cambiate e così il giro di valzer all’interno dei Ministeri non assicura continuità e progettualità lungimirante. I partiti sulle infrastrutture non la pensano allo stesso modo e quindi i dati riportati per avvalorare una tesi possono essere diversi.
In ogni caso, la conseguenza è che si sono persi 6 mesi. E una volta che i commissari sono stati designati, non ci sono state sorprese. Per un totale di 58 opere del valore totale di 66,2 miliardi, tra cui 16 ferroviarie, 14 stradali, 12 idriche e 3 portuali, non stupisce che i commissari provengano per la maggior parte dalle due grandi stazioni appaltanti pubbliche nel campo delle infrastrutture in Italia: Rfi (ferrovie) e Anas (strade), entrambe ricomprese nel gruppo Fs. Una volta individuati questi profili, si aprono due ordini di problemi ed è difficile stabilire quale sia il più grave.
Innanzitutto, alcuni di loro sono indagati: Maurizio Gentile per il deragliamento di un Frecciarossa vicino Lodi e per l’incidente di Pioltello (5 morti in totale), Simonini per reati ambientali e inadempienza. Per un giudizio definitivo sulle questioni, attenderemo il pronunciamento della magistratura.
L’altro problema è lo scarso coinvolgimento dei territori. Molte opere insistono su un suolo interregionale e, a differenza di quanto accaduto per il celebre caso della ricostruzione del Ponte Morandi di Genova (commissario il sindaco Marco Bucci), le figure designate non garantiscono un ascolto delle esigenze delle comunità locali. Ciò che garantiscono, in compenso, è un’ottima conoscenza di come si realizza un’opera pubblica nel campo dei trasporti: e non è cosa poco.
C’è poi un altro tassello senza il quale questi discorsi sembrerebbero privi di senso: i finanziamenti. Il tema delle risorse che confluiscono nei general contractor che realizzano l’infrastruttura è ambivalente. È infatti possibile cantierare un’opera quando ancora è mancante una parte dei finanziamenti. Ciò, se giova alla velocità di messa in cantiere, può rappresentare un rischio per il completamento.
Per fare qualche esempio, alla Strada Statale Jonica 106 in Calabria manca ancora un miliardo e alla alta velocità Brescia – Padova ben 2,5 miliardi. C’è però da dire che solo una parte delle opere incompiute in Italia hanno subito uno stop per mancanza di finanziamenti. Infatti, i dati ci dicono che le risorse non mancano: basti pensare ai due contratti di programma di Rfi e Anas con i quali le due società programmano i lavori degli anni successivi. Ad oggi, il loro valore è di 60 miliardi.
Nel già citato esempio del nuovo viadotto San Giorgio a Genova, però, le cose sono andate diversamente da come andranno nel prossimo futuro per opere come la ferrovia Palermo – Catania, Napoli – Bari o Verona – Brennero. Infatti, nel caso ligure si è verificata una congiuntura di fattori che hanno reso possibile una grande velocità di realizzazione. Ma un punto è apparso fondamentale: la simultaneità dei processi.
Le varie tappe di un iter vanno svolte, laddove possibile, simultaneamente. Non può fermarsi un intero cantiere ogni volta che qualcuno fa ricorso. I rallentamenti causati dal numero ingente di ricorsi presentati fanno sì, insieme ad altri fattori, che nel nostro Paese la media di realizzazione di una grande opera sia di 15 anni. La metà di questo tempo è impiegata in passaggi burocratici ancor prima dell’apertura del cantiere.
C’è tanta strada da fare in questo settore. I temi toccati sono ormai dei classici all’interno del dibattito pubblico. La riforma (e semplificazione) della burocrazia è la madre delle riforme. D’altronde, i commissari straordinari servono proprio a questo: ad aggirare i vincoli, a volte troppo stringenti, della burocrazia. Con la riforma sopracitata si trasformerebbe l’eccezione in normalità: il paradosso di un Paese che riconosce che le proprie normative risultano troppo spesso asfissianti.
[…] l’avvio dei lavori. Meno di una su 3. E se consideriamo gli importi, ovvero il valore di queste infrastrutture, su oltre 25 miliardi solo 5 (il 20%) sono passati alla fase del cantiere, che è quella che genera […]
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