Autostrade per l’Italia vedrà diluita la presenza al suo interno di Atlantia, la holding della famiglia Benetton che è da tempo titolare della concessione per la gestione del servizio pubblico della rete infrastrutturale estesa su tutto il territorio nazionale.
Cassa Depositi e Prestiti entrerà in una società scorporata dalla holding dei Benetton per acquisire la maggioranza delle quote (51%) e riportare sotto il controllo statale indiretto il gruppo, che si costituirà come public company con una forte componente fluttuante sul mercato dei capitali dopo la quotazione. Questa è la maggiore implicazione della mossa concordata da governo e concessionario.
Con una sana dose di realismo, possiamo affermare che un esito migliore in senso di ridimensionamento del potere della holding della famiglia veneta, a due anni dalla tragedia del Ponte Morandi, difficilmente sarebbe stato ottenibile. In questa condizione, con la pandemia alle spalle e l’inverno della crisi economica che appare sempre più in avvicinamento, mettere a repentaglio l’esistenza del gruppo Aspi in una guerra di nervi e di posizione tra lo Stato e Atlantia o impegnarsi nel rispetto degli accordi-capestro firmati negli Anni Novanta, con conseguenti maxi-risarcimenti insostenibili in tempi tanto delicati, avrebbe rappresentato un salto nel buio.
Il problema è il sistema stesso delle concessioni, di cui gli uomini divenuti titolari sono una conseguenza: gli ex tosatori di pecore improvvisatisi gestori di infrastrutture pubbliche non sono stati gli unici “capitani coraggiosi” ad aver gestito in maniera predatoria e inefficace i tesori che erano stati chiamati a custodire. Ilva, Alitalia, Telecom Italia e Autostrade sono altrettanti casi di fallimento del mito dei privatizzatori. Ma al contempo, rebus sic stantibus, un epilogo diverso da quello della graduale marginalizzazione dei Benetton non sarebbe stato immaginabile. L’ipocrisia dell’emendamento al Milleproroghe che ridimensionava il possibile risarcimento ai Benetton da 23 a 7 miliardi di euro per un possibile annullamento della concessione senza mettere in discussione minimamente l’assetto politico in cui essa è maturata è un emblematico esempio dell’atteggiamento della politica italiana.
Citiamo San Paolo e siamo fiduciosi: omnia in bonum. Il concordato governo-Benetton, perlomeno, separa il lato gestionale da quello giudiziario sulle responsabilità per il caso del viadotto di Genova crollato nel 2018 e offre spazi di manovra per iniziare ad immaginare qualche strategia di medio termine. Le condizioni politiche per il ritorno in campo di uno “Stato-stratega” capace di muovere a tutela di servizi essenziali e imporre svolte sui costi dei servizi per i cittadini (fondamentale l’annuncio di una riduzione dei pedaggi) sono state create dalla domanda di protezione manifestata da diversi settori economici e sociali nell’era del coronavirus.
Cdp è l’attore pivotale e non gestirà solo la maggior parte della quota del gruppo ma anche la ricerca di alleati industriali e finanziari. Sulle Autostrade, scorporate da Atlantia, si stanno scatenando gli appetiti dei possessori di quote nella holding e nel gruppo autostradale. Tra i primi si segnalano fondi (il singaporense Gic detiene l’8,29%) e banche d’affari (Lazard e Hsbc sono attorno al 5%); tra i secondi autentici colossi come Allianz, Edison e il fondo infrastrutturale Dif riuniti nel consorzio Appia e il cinese Silk Road Fund. A cui andranno ad aggiungersi i futuri alleati che il gruppo guidato da Fabrizio Palermo sceglierà: secondo indiscrezioni raccolte da Repubblica potrebbero esserci tra essi Poste Vita, F2i, ma anche il fondo Macquarie. A cui si aggiungerà una platea di investitori retail che gestiscono il 45% del capitale di Atlantia e sono per oltre il 90% stranieri, potenzialmente organizzabili in masse di manovra volte a rafforzare concentrazioni di potere interne alle nuove Autostrade.
Una concentrazione di interessi tanto grandi imporrà a Cdp e al governo programmazione strategica e scelte lungimiranti di politica economica e industriale: e questo è ciò che sembra maggiormente mancare a un esecutivo senza visione. Le Autostrade saranno veramente pubbliche quando di matrice pubblica saranno gli indirizzi programmatici, gli investimenti strategici e le coordinate di riferimento delle mosse aziendali. E, di conseguenza, saranno maggiori i dividendi per i cittadini in termini di risparmi sul servizio e sicurezza.
Staremo a vedere, ma impegnare la cassaforte dello Stato, Cdp, impone serietà e capacità d’azione: tra investimenti necessari e posti di lavoro da tutelare e da creare, il ritorno di Aspi in mano pubblica, per quanto spurio, può essere una risorsa. Ma questo non sposta di una virgola qualsiasi critica si possa aver fatto, o si potrà continuare a fare, sulla gestione dei servizi pubblici nel Paese.
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