Oggi il Perù è un paese di narrazioni inconcluse. Sul piano globale, appare come una mescolanza delle solite colpe terzomondiste: corruzione, clientelismo, e debolezza istituzionale.
Da questa prospettiva, il Perù è un monito per gli stati che cadono in errori come processare giudizialmente i loro precedenti capi di stato. Nello stato sudamericano, infatti, ognuno dei presidenti eletti dal ritorno alla democrazia si trova di fronte a un qualche processo penale. Nell’ultima settimana di marzo 2023, è rientrato in Perù il primo presidente eletto dopo la dittatura degli anni Novanta – Alejandro Toledo – in sedia a rotelle, estradato dagli Stati Uniti. Se fosse imprigionato con i suoi omologhi, avrebbe la stessa sorte di Alberto Fujimori, dittatore condannato per reati contro l’umanità, e Pedro Castillo, arrestato dalla propria scorta dopo aver tentato un colpo di stato nel dicembre 2022.
Uno sguardo più ravvicinato rivela che questo monito è piuttosto idiosincratico: pieno di élite complessate e istituzioni ambigue. Se è vero che gli ultimi mesi possono essere visti come uno stadio reazionario e autoritario della politica peruviana, dobbiamo anche comprendere rispetto a cosa reagisce la repressione violenta e mediatica del governo di Dina Boluarte. La risposta non è ovvia.
L'intreccio del neoliberismo con la politica peruviana
Il fatto che questa svolta sia iniziata con il fallito colpo di stato di Pedro Castillo non implica che Pedro Castillo sia la figura in cui si debba trovare il progresso di una certa narrazione. La nozione stessa che siamo di fronte a una vendetta neoliberista delle élite crolla se notiamo che né lo stesso governo di Castillo concepiva sé stesso come nemico del neoliberismo, né le sue azioni possono essere intese come tali. Perlopiù, anche se il manuale economico del regime Boluarte può giustamente essere chiamato "neoliberista", le sue decisioni e politiche non possono essere comprese solo in questo quadro. Sembrerebbe invece che tanto Castillo come Boluarte trovino nel neoliberismo una limitazione fittizia delle proprie ambizioni.
Dopotutto, il neoliberismo peruviano è una tradizione piuttosto concreta. Fu un peruviano - Hernando de Soto – a distinguere l’economia informale da quella formale, descrivendo la prima come un’insurrezione popolare contro la regolazione, l’indolenza, e la freddezza dello stato. Questa divisione è cruciale perché ogni nozione neoliberista sia intelligibile nel contesto peruviano, o almeno teoreticamente applicabile. Senza questa divisione fra formale e informale, la nozione di mercati efficaci ed efficacemente regolati dovrebbe affrontare problemi essenzialmente politici che altrimenti sarebbero la norma: la bassa produttività del lavoro, la debolezza delle istituzioni di regolazione e l’anemia dell’economia, incapace di produrre sufficienti posti di lavoro che possano essere considerati "formali".
È questo il mito microeconomico nel quale si fonda la struttura macroeconomica che caratterizza il Perù sin dalla fine del Novecento: un ministero dell'economia e una banca centrale che garantiscano agli investimenti stranieri stabilità, e una polizia che garantisca la pace sociale. Sotto questo regime, il Perù ha conosciuto una veloce crescita economica, trainata dalla fame cinese per il rame. Secondo dati della Banca Mondiale, il Pil peruviano è cresciuto in media del 6,8% ogni anno tra il 2002 e il 2012. La povertà monetaria si è ridotta dal 58,7% nel 2004 al 20,2% nel 2019.
È lecito affermare che, nonostante gli evidenti progressi, l’entusiasmo dei tecnocrati per la crescita del Pil insieme alla bassissima inflazione e limitato deficit fiscale era esagerato. Se il consumo di cemento è generalmente un buon indicatore di riattivazione economica, celebrato dopo ogni crisi come un segno della resilienza degli imprenditori peruviani, allora dovremmo notare come gran parte di questa crescita concreta sia stata distrutta dai disastri naturali che colpiscono il nord del paese dall’inizio di quest'anno.
Allo stesso modo, dovremmo riflettere su quanto la classe media peruviana sia legata all’accesso a servizi di base poco costosi nel caso dell’educazione, o all’abbandono degli stessi nel caso della sanità e delle pensioni. La crisi del coronavirus ha rivelato a gran voce la negligenza dell’educazione pubblica, la fragilità delle scuole a basso costo (molte sono state obbligate a chiudere durante il lockdown, con conseguente saturazione dell’educazione pubblica), la miseria della sanità pubblica (anche qui, insieme alla bassissima capacità del privato) e la debolezza dei risparmi popolari (forzando il ritiro al dettaglio dei fondi pensione).
Élite instabili e contraddittorie
La storia politica che attraversa questa crisi denota senza dubbio la follia delle pseudo-élite peruviane. Vale la pena chiamarle così, poiché la loro posizione non è determinata da un saldo potere economico o politico, ma dalla loro vicinanza quasi topografica ai palazzi del potere. Affamate, aspettano nella penombra il momento in cui le istituzioni ordinarie collassano per assediare in modo coordinato ogni organo dello stato.
Più sorprendentemente, il nemico di queste élite è la globalizzazione, premessa e conseguenza del fiacco progresso economico che loro stesse avevano auspicato e difeso. Sono questi i limiti del neoliberismo che hanno fatto da avversari tanto al governo “popolare” di Pedro Castillo come al governo omicida di Dina Boluarte. Progetti socialmente progressisti come il curriculum di genere (che ha cercato di inserire l’educazione sessuale nei programmi delle scuole pubbliche), il riconoscimento della violenza dello stato durante gli anni del terrorismo, e la timida legge sulle unioni civili sono emersi tutti durante gli anni di maggior crescita economica, conseguenza del rafforzamento di tecnocrati altamente qualificati, molti educati in università atlantiche. Queste precarie speranze progressiste sono bastate a destabilizzare il carattere conservatrice di queste pseudo-élite.
D’altra parte, istituzioni neoliberiste come il ministero dell’economia e la banca centrale pongono un vincolo alle ambizioni dell’attuale governo di coalizione, fondato su un sistema rentier che richiede un costante finanziamento da parte dello stato. Sia i membri del congresso sia l’esecutivo richiedono la cooperazione del fisco peruviano per acquistare legittimità in forma di progetti “emblematici” di infrastruttura, e aiuti monetari intermittenti. Tutto ciò è funzione di un’economia che non riesce più a crescere significativamente, impoverendo chi è già povero e la classe media.
Nella storia recente, la coalizione oggi al potere aveva già provato a prendere il potere dopo l’impeachment di Martin Vizcarra nell’anno 2020. Lo aveva sostituito Manuel Merino, che subito aveva inaugurato un gabinetto marcatamente conservatore. Grandiose proteste nel centro della capitale erano riuscite a rimuoverlo dal Palacio de gobierno in poco meno di una settimana - lasciando un bilancio di due giovani morti - ma il tempo era stato sufficiente perché uno dei membri della coalizione minacciasse la Sunedu, l'ente regolatore dell'istruzione superiore, affermando che la sua "posizione di dominio e il suo appoggio al governo [finiranno], man mano che l'evoluzione politica del nostro Paese si compie". Si riferiva alla rivincita delle università "pirata", prodotto della liberalizzazione dell'economia negli anni '90.
Il secondo tentativo dell’attuale coalizione di governo, invece, è stato un successo. Nonostante il supporto che alcuni settori di questa coalizione avevano trovato nel governo di Pedro Castillo - per esempio, l’antipatia verso la Sunedu, il progresso sociale, e l’amore verso le attività illegali - la differenza etnica ha dimostrato di essere più che sufficiente per infiammare la deiscenza razziale della società peruviana.
Il significato del governo di Pedro Castillo
Anche se economicamente illuso e socialmente conservatore, Pedro Castillo rappresentava una fobia per la haute société urbana e criolla, dato che era stato eletto grazie a un voto fortemente rurale e indigeno. Essendo lui stesso un’uomo delle Ande, la sua sola presenza nel Palacio de gobierno imponeva la polemica sullo storico sfruttamento e abbandono della popolazione rurale peruviana.
Alcuni critici hanno voluto trovare in questo agone una polemica tra i contadini e la borghesia, o tra l’economia informale e l’economia formale, o tra i colonizzatori e colonizzati. Eppure, è proprio la vacuità del significante che è Pedro Castillo quello che ha permesso la sua sovradeterminazione. Risuonano le parole di Marx su Luigi Bonaparte: “Così accade… che l’uomo più limitato della Francia acquistasse il significato più complesso. Appunto perché non era nulla, egli poteva significare tutto, fuorché se stesso”. In effetti, Pedro Castillo era in sé proprio ciò che vari settori della sinistra dovevano negare per rivendicare la nozione di “figlio del popolo” che nella loro fantasia avevano costruito, così come la narrazione che opponeva al “governo del popolo” il neoliberismo. L’alternativa era mettere in dubbio la loro preziosa immagine di rivoluzione dal basso.
Pedro Castillo tentò un colpo di stato il 7 dicembre 2022. Questo coup non era l’inizio di una rivoluzione, né una lotta frontale contro la destra; in fondo, il signor Pedro Castillo voleva salvarsi dalla prigione. In questo momento, la coalizione conservatrice uscì dalla penombra e si affrettò ad assicurarsi il potere. Non potevano permettersi gli stessi errori di due anni prima.
I risultati furono fatali. Fino a oggi, 50 civili sono morti per mano della polizia e dell'esercito, molti dei quali non erano nemmeno parte delle proteste. Sin dall’inizio, i manifestanti sono stati chiamati “terroristi” dai grandi mezzi di comunicazione, invocando il fantasma di Sendero Luminoso, e le loro morti giustificate come una difesa dello stato di diritto. Occorre notare che poco più di cinquant'anni fa lo status di servitù dei contadini indigeni sotto i latifondisti bianchi era un fatto della società peruviana.
Ambiguità del neoliberismo
Ritornando però al punto centrale di questo saggio, cioè, l'ambiguità del neoliberismo peruviano, dobbiamo sottolineare il suo carattere regressivo (che separa dall’economia peruviana un’ipotetica economia informale, rendendo così impossibile la sola possibilità di comprendere le relazioni sociali del Perù) e il suo carattere progressivo (l’apertura alla globalizzazione grazie a cui la società ha visto alcune novità nel campo sociale e civile).
Dopo aver caratterizzato l’oggetto che è il neoliberismo, possiamo allora comprendere il suo ruolo nell’attuale crisi. La relazione con il governo di Castillo è stata complessa. In un certo senso, è stata oppositiva, poiché istituzioni neoliberiste come la riforma educativa o la riforma dei trasporti erano un ostacolo per le ambizioni patrimonialistiche di Castillo. In un altro senso, è stata rivelatrice: molti tecnocrati liberali si sono spostati nel campo reazionario, mettendo in evidenza i caratteri razziali della struttura statale peruviana.
La relazione del neoliberismo con l'attuale governo di Boluarte è ancora più complessa. La coalizione che la sponsorizza si oppone al neoliberismo in materia sociale ed economica, anche se non lo riconoscerebbe esplicitamente. Da un lato, la vendetta sociale consiste nel distruggere le poche conquiste di una classe tecnocratica e liberale in termini di diritti civili. Il museo che ricordava gli abusi delle forze di sicurezza durante l’epoca del terrore è stato minacciato e chiuso per alcune settimane. È interessante notare che era stato il capitale tedesco a contribuire alla costruzione di questo museo. Spudoratamente, un recente ministro dell’educazione ha invocato la necessità della pena di morte; in questo è d’accordo con l’attuale sindaco di Lima, un reazionario fanatico religioso.
D’altra parte, i pilastri della dottrina neoliberista - responsabilità fiscale e monetaria - limitano la possibilità di questa coalizione di legittimarsi attraverso il finanziamento di progetti di infrastruttura e sussidi monetari. Anche se questi metodi sono ancora strutturalmente neoliberisti, cioè, invocano la superiorità ed efficienza del settore privato, la tendenza del Congresso è verso una maggiore spesa pubblica. La presidenza della Banca centrale e la stabilità della moneta peruviana dipenderanno da chi prevarrà in questa coalizione: la parte conservatrice, o la parte "economica".