Cerca

Articolo

Dal mondo

Perché la Silicon Valley Bank è fallita. Siamo tornati al 2008?

L'analisi di Yanis Varoufakis

Dopo il 2008, il capitalismo non può riprendersi: non esiste più un tasso di interesse con cui le banche centrali possono raggiungere contemporaneamente tutti i loro obiettivi.

In risposta alle preoccupate domande sollevate da molti sulla crisi bancaria in corso, iniziata negli Stati Uniti con il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) e che ora sta colpendo il Giappone e altri Paesi, posso offrire la seguente breve analisi.

L’innesco

Ogni crisi bancaria sistemica ha una causa scatenante. Nel caso di SVB, la ragione del suo fallimento è duplice:

  1. Il crollo dei prezzi nel mercato secondario delle obbligazioni - fondamentalmente dei titoli di stato statunitensi (treasuries) - causato dal rialzo dei tassi della Fed, a sua volta "imposto" a tutte le altre banche centrali dall'inflazione.
  2.  Il crollo dei prezzi delle azioni delle Big Tech e dell'intero ecosistema digitale delle piccole start-up tecnologiche che ruotano attorno ad esse – dovuto alle politiche monetarie restrittive che la Fed ha messo in atto.  Cioè, la Fed ha smesso di stampare moneta (sempre a causa dell'inflazione).

Più in dettaglio, SVB ha subito due colpi contemporaneamente:

  1. Il primo ha colpito i suoi fondi, che erano investiti principalmente in titoli di stato statunitensi. Ciò è avvenuto poiché l'aumento dei tassi d'interesse ha ridotto il prezzo di rivendita di queste obbligazioni. Perché acquistare "di seconda mano" un'obbligazione più vecchia che rende lo 0,5% quando è possibile acquistarne una "nuova" che rende il 3%? Di per sé, questo sviluppo non era sufficiente a far fallire SVB. Finché SVB non era obbligata a vendere a prezzo ridotto le obbligazioni più vecchie in suo possesso, non vi erano problemi. Tuttavia, a causa del secondo colpo, SVB è stata costretta a vendere con un forte sconto. Ed è qui che è iniziato il problema.
  2. Quando l'inflazione ha costretto la Fed a non stampare più nuova moneta (ovvero, niente più quantitative easing), si è interrotto anche il flusso di fondi che manteneva le azioni delle Big Tech nella stratosfera. Le azioni delle Big Tech si sono quindi sgonfiate. Poiché queste società (Google, Amazon, Meta, Twitter, Netflix, Airbnb, Uber, ecc.) basavano i loro finanziamenti su prestiti contratti mettendo in garanzia i loro prezzi azionari sopravvalutati (ad esempio, è così che Elon Musk ha comprato Twitter), esse si sono trovate improvvisamente a corto di liquidità. Ecco perché hanno iniziato a ritirare i loro depositi da banche come la SVB.

Dunque, nello stesso momento in cui la base di capitale di SVB si riduceva, i depositanti chiedevano di ritirare i loro depositi. Non appena si è saputo che la SVB era in ritardo nella restituzione dei fondi dei depositanti, è iniziata la classica corsa agli sportelli.

La causa

La ragione di fondo per cui il fallimento di una banca di medie dimensioni in California ha creato tanta angoscia in tutto il mondo è che il capitalismo internazionale non è mai stato in grado di rimettersi in piedi dopo il 2008.

Più in dettaglio, le banche centrali (Fed, BCE, ecc.) hanno uno strumento fondamentale: il tasso di interesse. Quando vogliono frenare l'attività economica per tenere sotto controllo l'inflazione aumentano il tasso d'interesse e viceversa. Ma oltre alla stabilità dei prezzi, le banche centrali hanno altri due obiettivi: la stabilità del sistema bancario e l'equilibrio tra liquidità e investimenti. Il tasso di interesse scelto dalla banca centrale è uno. Questo stesso numero (ad esempio il 3%) deve raggiungere contemporaneamente tre obiettivi: la stabilità dei prezzi, la stabilità del sistema bancario e il bilanciamento tra liquidità e investimenti.

E qui sta il motivo per cui sostengo che, dopo il 2008, il capitalismo non può riprendersi: non esiste più un tasso di interesse in grado di raggiungere tutti e tre questi obiettivi contemporaneamente. Questa è la tragedia dei banchieri centrali: se vogliono domare l'inflazione (con un tasso di interesse sufficientemente alto), innescano una crisi bancaria e, di conseguenza, sono costretti a salvare gli oligarchi che, nonostante il salvataggio pubblico, portano gli investimenti al di sotto della liquidità. Se invece impongono un tasso di interesse più basso per evitare di innescare una crisi bancaria, allora l'inflazione va fuori controllo - con il risultato che le imprese si aspettano un aumento dei tassi di interesse, il che le scoraggia dall'investire. E così via.

Si torna al 2008, quindi?

No, per due motivi. In primo luogo, il problema delle banche statunitensi oggi non è che i loro attivi sono spazzatura (ad esempio, derivati strutturati basati su crediti deteriorati) come lo erano nel 2008, ma che possiedono titoli di Stato che sono semplicemente costretti a vendere a prezzi scontati. In secondo luogo, il salvataggio della Fed annunciato il 15 marzo è diverso da quello del 2008: oggi sono le banche e i depositanti a essere salvati, ma non i proprietari e gli azionisti delle banche. Queste due ragioni spiegano perché i titoli bancari sono in calo ma non c'è un crollo totale dei mercati azionari.

Il fatto che non ci sia un crollo totale dei mercati azionari non significa, ovviamente, che la crisi del capitalismo - che si sta sviluppando ininterrottamente dal 2008 - non si stia aggravando. Semplicemente non ha le caratteristiche di un crollo istantaneo e pesante.

Cosa rappresenta questo sviluppo per l'Europa?

Nel 2008, Berlino e Parigi si rallegravano del fatto che il crollo bancario riguardasse solo gli Stati Uniti, o almeno così pensavano. Finché non si sono resi conto che le banche franco-tedesche erano cariche degli stessi derivati tossici statunitensi che hanno mandato in bancarotta Lehman.

Oggi le banche franco-tedesche non sembrano avere lo stesso problema, anzi, sono state risparmiate grazie alla struttura antiquata dell'economia europea. Cosa intendo dire? Le banche franco-tedesche non hanno prestato grandi somme alle Big Tech europee per il semplice motivo che le Big Tech europee non esistono: infatti finanziano ancora le case automobilistiche e l’industria estrattiva. Non vedo quindi all'orizzonte una SVB europea.

Questo non significa, ovviamente, che le banche europee siano al sicuro. Anche i loro fondi sono investiti in obbligazioni i cui prezzi sono scesi. Un'ampia fuga di depositi creerebbe qui gli stessi problemi che stiamo vedendo negli Stati Uniti. Tale fuga potrebbe provenire da settori del sistema finanziario che non si possono immaginare, ad esempio dal settore assicurativo (come in Gran Bretagna lo scorso autunno) o da un crollo della debole Credit Suisse, da tempo in sofferenza.

Cosa si sarebbe dovuto fare?

Dal 2008, i governi e le banche centrali hanno cercato di sostenere le banche attraverso una combinazione di socialismo per le banche e austerità per tutti gli altri. Il risultato è quello che vediamo oggi: la metastasi della crisi da un "organo" del capitalismo all'altro, con l'aumento della portata della crisi ad ogni metastasi.

Cosa si potrebbe fare in alternativa? L'esatto contrario: austerità per le banche, con la nazionalizzazione di quelle che non possono sopravvivere, e il socialismo per i lavoratori: un reddito di base per tutti, il ritorno alla contrattazione collettiva e, più in là, nuove forme di proprietà partecipativa delle aziende tecnologiche, dalle più piccole alle più grandi. In altre parole, niente di meno che una rivoluzione politica.

A coloro che temono l'idea di una rivoluzione politica, il mio messaggio è semplice: preparatevi a pagare il prezzo della crisi crescente di un capitalismo deciso a portarci tutti nella sua tomba.

***

L'articolo originale è stato pubblicato in inglese sul sito di Diem25.

Data
24 Marzo 2023
Articolo di
Giorgio Michalopoulos

Yanis Varoufakis

TAG
banche, crisi bancaria, europa, fed, SVB, varoufakis
traduzione di

Giorgio Michalopoulos

Editing

Giorgio Michalopoulos, Alessandro Bonetti

In collaborazione con
Democracy in Europe Movement 2025

Iscriviti
alla newsletter!

Registrandoti confermi di accettare la nostra privacy policy

Yanis Varoufakis

Yanis Varoufakis

Commenti

Rispondi Cancella

Inserisci il commento
Inserisci il tuo nome
Hai inserito un indirizzo email non valido
Inserisci il tuo indirizzo email

Articoli correlati

Dal mondo

In una Francia spaccata, che economia vogliono destra e sinistra?

Le idee dei partiti al tramonto dell'era Macron

29 Luglio 2024   |   Letizia Molinari

Teoria e pensiero economico

L'economia neoclassica nelle università: il dibattito

20 Maggio 2024   |   Redazione Kritica Economica

Teoria e pensiero economico

No room for pluralism

Carving out niches to survive or promoting a paradigm shift?

20 Maggio 2024   |   Steve Keen

Teoria e pensiero economico

Non c'è spazio per il pluralismo

Ritagliarsi nicchie per sopravvivere o promuovere un cambio di paradigma?

20 Maggio 2024   |   Steve Keen

Analisi

Perché l'agro-business ce l'ha con l'Unione europea

L'ira dei trattori contro le regole green. Sullo sfondo lo spettro dell'America Latina

2 Aprile 2024   |   Andrea Taborri

Attualità

La transizione ecologica dell'ex Gkn fra idee e pratica

L'intervento di Dario Salvetti in Sapienza

30 Marzo 2024   |   Dario Salvetti

Dal mondo

Il contropiede del Sud del mondo sulla tassazione internazionale

Cosa cambia con il voto all'Onu

20 Marzo 2024   |   Domenico Viola

Teoria e pensiero economico

Un keynesiano “tecnologico”

L’economia politica di Luigi Pasinetti

29 Febbraio 2024   |   Stefano Lucarelli

Teoria e pensiero economico

Le "vecchie bottiglie" di Keynes

Quale politica di rilancio per evitare la guerra?

16 Febbraio 2024   |   Michele Bee, Raphaël Fèvre

Visualizza più articoli

Rimani in contatto.
Iscriviti alla newsletter!

Registrandoti confermi di accettare la nostra privacy policy

KriticaEconomica
è completamente indipendente
ed autofinanziata.
Sostienici con una donazione.

Codice IBAN: IT18Y0501803200000016759425

Questo sito è stato realizzato con il supporto di YSI - Young Scholars Initiative, una comunità globale di pensatori critici che finanzia iniziative per il pluralismo nell'economia

Kritica Economica è una rivista indipendente creata da un gruppo di universitari, ricercatori e studiosi di varie estrazioni, appassionati di economia e politica economica.

Contatti
info@kriticaeconomica.com

All Content © Kritica Economica 2022
All Rights Reserved
Design Big Sur

Privacy policy

Facebook Twitter Instagram Youtube Telegram-plane Linkedin-in Envelope