La politica, soprattutto quando si trova ad affrontare crisi di governo, assume accelerazioni schizofreniche. Ma ora, con l’irrompere sulla scena pubblica di Mario Draghi, tra i protagonisti più rilevanti, forse il più importante, della recente storia europea, la frenesia è elevata al diapason.
L’apparato mass-mediatico si è già attivato per diffondere messaggi di idolatria sociale e disseccate formule di culto della personalità; in questo contesto, la principale preoccupazione di Kritica Economica è allora quella di garantire che ci sia un confronto serio sulla sua visione del mondo e del sociale.
Questo articolo vuole scandagliare il rapporto di Draghi con la democrazia e come questo rapporto si è realizzato concretamente nel corso degli anni: portiamo l’attenzione del lettore ai giorni della crisi greca, che rappresenta ancora oggi il principale punto di rottura e di non-ritorno per la vita politica europea. Perché è proprio in quella fase che il politico-Mario Draghi si è messo per la prima volta all’opera.
Il 25 gennaio 2015, Syriza, una coalizione che teneva uniti i movimenti della sinistra radicale greca, vince le elezioni. Il popolo greco è stremato dall’austerity e dalle dure condizioni imposte dalla firma dei due precedenti bailout. Il leader della coalizione che ha vinto le elezioni, Alexis Tsipras, ha ricevuto il preciso mandato elettorale di trovare un accordo con le istituzioni europee: ristrutturazione del debito, un surplus del bilancio primario dell’1,5% fisso, una banca per lo sviluppo invece delle privatizzazioni a prezzi stracciati, una bad bank pubblica per gestire i crediti deteriorati delle banche e tanto altro.
Nonostante le diverse opinioni dei commentatori, occorre riconoscere che il governo greco abbia cercato sin da subito un accordo con la cosiddetta Troika: questo è importante sottolinearlo, perché le istituzioni europee non hanno mai dovuto confrontarsi nel corso delle discussioni con una delegazione riottosa e poco propensa alla mediazione. In base a questa considerazione, possiamo misurare invece la scarsa propensione al compromesso da parte della Troika.
Due sono i fatti che costituiscono gli snodi nevralgici della discussione [1]. Il 4 febbraio 2015 ci fu il primo incontro tra Yanis Varoufakis e Mario Draghi a Francoforte, insieme al board della BCE. Il ministro dell’Economia greco cominciò a presentare il programma del nuovo governo. Draghi, però, precisò subito a Varoufakis lo scopo del colloquio: informarlo della decisione di sospendere l’esenzione (waiver), una deroga che consentiva alle banche greche di ottenere denaro liquido in cambio di garanzie (collateral) inconsistenti.
È cruciale notare che si trattava di una decisione meramente politica, che doveva passare al vaglio dell’Eurogruppo. Questo procedimento è stato attivato a partire dal 2010, mettendo in serio dubbio la presunta indipendenza della BCE. Se l’Eurogruppo approva, la BCE può a propria discrezione decidere di chiudere (shut down) o no i rubinetti alle banche di un paese membro dell’UE.
“L’esenzione era la prima delle due misure che avrebbero portato alla chiusura delle banche greche; la seconda sarebbe stata la chiusura dell’ELA (Emergency liquidity assistance)”.
Yanis Varoufakis, Adulti nella stanza [2]
Il punto è che la BCE aveva già preannunciato questa mossa (sospensione della waiver) poco prima delle elezioni che avrebbero portato, come tutti i sondaggi pronosticavano, alla vittoria di Syriza. Inoltre, qualche ora prima dell’incontro tra Draghi e Varoufakis, le azioni delle banche greche erano salite di più del 20%: le proposte di conversione del debito greco presentate da Varoufakis all’Adam Smith Institute di Londra avevano convinto gli investitori [3]. Perciò quando Draghi comunicò al ministro greco la sospensione dell’esenzione per le banche greche, quest’ultimo rispose con un certo livore:
“Mario, ti riterrò personalmente responsabile se verrà sospesa l’esenzione il giorno dopo che con il mio intervento ho fatto salire i titoli delle banche del 20%. Se lo fai sarà la prima volta nella storia delle banche centrali che una banca centrale distrugge il successo sui mercati finanziari di un ministro delle finanze”.
L’esenzione sarebbe stata sospesa nelle ore immediatamente successive, si badi: soltanto una settimana prima si era insediato il nuovo governo, una settimana dopo ci sarebbe stata la prima riunione dell’Eurogruppo per affrontare la questione della ridefinizione del programma di prestiti bilaterali alla Grecia, tre settimane dopo ci sarebbe stata la scadenza del programma sui prestiti.
Facciamo ora un balzo in avanti: giugno 2015. Il 25 giugno l’Eurogruppo impone alla Grecia un ultimatum: accettare o no lo Staff Level Agreement (SLA): un durissimo piano di austerità e di privatizzazioni, rispetto al quale non era garantito nessun effettivo controllo da parte dello Stato greco. Tsipras decide: domenica 5 luglio si sarebbe tenuto un referendum e i greci avrebbero dovuto decidere se accettare o meno il piano dell’Eurogruppo.
A questo punto, il governo greco chiede alle istituzioni europee le garanzie necessarie affinché i propri cittadini potessero esercitare il proprio diritto di esprimersi senza condizionamenti esterni. La proroga sul prestito sarebbe scaduta il 30 giugno e la bocciatura sull’ulteriore proroga significò poi il rifiuto di concedere altra liquidità alle banche greche tramite la ELA della Banca Centrale Greca [4].
Dal 28 giugno al 20 luglio i greci non ebbero la possibilità di accedere formalmente ai propri conti. Le immagini degli anziani che svenivano dal caldo rimangono innervate nella nostra memoria, così come conserviamo ancora il ricordo della compostezza e della dignità delle persone che si recarono a votare nonostante l’ansia di non poter conoscere il destino dei propri risparmi. Il rapido scorcio sugli eventi che segnarono l’epilogo della primavera greca finisce qui.
Quello che ora bisogna segnalare è questo: Fabio De Masi, europarlamentare della Linke, ha scoperto che Mario Draghi si rivolse ad uno studio privato per capire se la decisione da parte della BCE di chiudere le banche di un paese sovrano fosse legittima oppure no, nonostante la BCE potesse contare su un ufficio legale interno (le principali preoccupazioni di Draghi erano le decisioni prese il 4 febbraio e il 28 giugno).
Il responso legale di questo studio privato è rimasto però segreto: perciò De Masi e Varoufakis hanno lanciato la campagna Release Greek Files, chiedendo una copia del suddetto parere legale in modo da informare i cittadini in modo trasparente. Questo è quanto riferisce De Masi:
“Da fonti interne alla Bce ho saputo che quel parere non era totalmente favorevole e dunque io credo che sia questa la vera ragione per la quale l’opinione pubblica non deve sapere che Draghi non aveva il potere di chiudere le banche: è chiaro che Draghi fece questa forzatura per obbligare il governo greco ad accettare il memorandum della Troika. Draghi ha avuto un’arma enorme nelle sue mani per costringere Tsipras […] L’austerità è stata un incubo per l’Europa. Noi vogliamo che finisca al più presto. Draghi passa per un pragmatico, per quello che ha salvato l’euro con il Quantitative Easing, ma non è così: è andato oltre il mandato dello Statuto della Bce sulla politica monetaria e ha sempre appoggiato le politiche di austerità”. [5]
Il problema sulla legittimità delle azioni di Draghi come capo della BCE segnala in realtà una questione più rilevante: di legittimità innanzitutto politica e democratica, oltre che giuridica.
I dubbi che quindi ci sentiamo di formulare attorno alla sua figura non sono tanto rivolti al suo curriculum di economista ma al suo curriculum di sincero democratico, “curriculum” che deve essere confrontato con quello di ognuno di noi, perché la genealogia del potere, nelle sue varie articolazioni, deve essere democratica, altrimenti democrazia non è [6]. Ricordiamolo: la chiusura forzata delle banche greche ha condizionato inevitabilmente il libero ed effettivo esercizio democratico, influenzando il destino della popolazione ellenica [7].
In Italia, per di più, il Parlamento soffre di una profonda crisi di riconoscimento da parte degli elettori. A livello costituzionale, naturalmente, l’eventuale nomina di Draghi come Presidente del Consiglio è incontestabile. Ma c’è di più: il nome di Draghi circola anche come possibile futuro Presidente della Repubblica. Allora la questione dirimente: per aspirare a queste cariche, non sente la necessità di dover rendere conto delle proprie azioni ai cittadini europei, prima ancora che a quelli italiani?
Nel dubbio, occorre prepararsi ad una grande mobilitazione democratica, whatever it takes.
Bibliografia:
Express: Varoufakis demands release of secret documents amid accusations of backroom EU cover-up
Mr Draghi, what are you afraid of? Release #TheGreekFiles!, OpenDemocracy
Note:
[1] I riferimenti alle trattative tra il governo greco e la BCE, che compaiono in questo articolo, si basano in massima parte al resoconto autobiografico di Yanis Varoufakis, Adulti nella Stanza, La nave di Teseo, 2018. Un testo fondamentale per chiunque si interessi delle dinamiche europee.
[2] Op. cit, p. 360.
[3] Think thank neoliberista che dal 1977 aveva cominciato ad appoggiare il programma politico di Margaret Thatcher.
[4] ELA (Emergency liquidity assistance): con l’attivazione di questo meccanismo, il funzionamento delle banche dipende dalla Banca Centrale Greca, (la quale rimane un’agenzia della BCE), che deve decidere se accettare le garanzie di “cattiva qualità”: i soldi continuano ad arrivare dalla BCE, ma indirettamente e a un tasso di interesse maggiore. L’erogazione di denaro liquido da parte della banca centrale locale continua comunque a dipendere dalle decisioni della BCE. Senza il parere favorevole del consiglio direttivo della stessa BCE il sistema bancario di un Paese membro collassa.
[5] Draghi non aveva il potere di chiudere le banche greche, Il Manifesto
[6] Esemplare la risposta di Varoufakis al ministro Padoan, che, alla notizia del referendum greco, chiese come potesse la gente capire problemi complessi: “Siamo convinti della capacità della gente, degli elettori, di essere cittadini attivi, di essere in grado di fare analisi serie e prendere decisioni responsabili sul futuro del loro Paese. Questa è l’essenza della democrazia”. Op. cit., p.773
[7] Lo stesso metodo, che menzioniamo qui solo di sfuggita ma meriterebbe anch’esso un serio approfondimento, è stato applicato anche a Cipro nel 2013.
[…] non ci sorprende con questa scelta. Già nel 2015 come presidente della BCE, si era avvalso di una consulenza legale privata per chiudere gli […]
Il referendum può tranquillamente essere letto come una disperata mossa populista, uno spot di nessun valore democratico: i cittadini greci avrebbero dovuto prendersela coi governanti che li hanno portati in Europa, con i mezzi che conoscete