La strategia italiana ha fallito. Nessun riferimento agli eurobond nel documento finale dell’Eurogruppo di giovedì. Solo un accenno a possibili “strumenti finanziari innovativi, coerenti con i Trattati dell’UE”. L’unico spiraglio a un’emissione comune di debito sembra essere il “Fondo per la ripresa”, che però sarà “temporaneo, mirato e commisurato ai costi straordinari della crisi”. Ma di questo fondo non c’è il minimo abbozzo istituzionale nel comunicato dell’Eurogruppo. Soltanto una dichiarazione d’intenti per la futura riunione del Consiglio europeo.
Il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno, rispondendo alla domanda di una giornalista, ha definito i coronabond uno “slogan”. Sembra la pietra tombale su quello che è stato il cavallo di battaglia del governo italiano nelle trattative europee.
Ma quindi che ha deciso l’Eurogruppo dopo oltre venti ore di discussione? In primis è stato dato l’ok al meccanismo “Sure” contro la disoccupazione, che prevede 100 miliardi di prestiti ai governi. Poi c’è il sì al fondo di emergenza da 25 miliardi della Bei (Banca europea per gli investimenti), che con queste garanzie potrà supportare prestiti fino a 200 miliardi per le imprese (circa l'1,5% del Pil dell'Unione).
Tuttavia, il vero protagonista della decisione dei ministri delle Finanze europee è il MES (Meccanismo europeo di stabilità). Il fondo salva-Stati è stato terreno di scontro politico prima in Italia e poi in Europa. Il governo italiano chiedeva un MES light, senza condizionalità. Semplicemente impossibile, allo stato attuale delle cose.
Infatti, l’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (nella nuova versione approvata nel 2011) afferma che “la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”. Per modificare questo articolo sarebbe necessario modificare i trattati europei, ma per la revisione è necessario un accordo unanime di tutti gli Stati membri (articolo 48 del Trattato sull’Unione europea). Una strada impraticabile, almeno nel breve periodo.
L’Olanda, capofila dei Paesi del nord, chiedeva condizioni rigide per l’utilizzo del fondo salva-Stati. Alla fine, i soldi del MES potranno essere utilizzati solo per spese collegate all’emergenza sanitaria. Nel documento finale si legge:
L’unico requisito per accedere alla linea di credito sarà che gli Stati membri dell’eurozona che richiedono sostegno si impegnino a usare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno di costi diretti e indiretti per la sanità, la cura e la prevenzione dovuti alla crisi da Covid-19.
Lascia sconcertati il tweet del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri alla fine dell’Eurogruppo. Secondo il ministro sarebbero stati “messi sul tavolo i bond europei” e “tolte dal tavolo le condizionalità del Mes”. Leggendo il documento ufficiale si capisce bene che non è affatto così.
Il MES metterà a disposizione di tutti gli Stati dell’eurozona una linea di credito precauzionale, che potrà elargire fondi a ciascun Paese fino al 2% del Pil nazionale. Per l’Italia sarebbero 36 miliardi, che potrebbero essere spesi solo nella sanità.
Inoltre, la linea di credito sarà disponibile soltanto fino alla fine della crisi da Covid-19. Dopo, gli Stati membri dell’eurozona che avessero aderito si impegnerebbero a “rafforzare i fondamentali economici e finanziari”. Tradotto: dovrebbero predisporre un piano di rientro dalle spese effettuate.
Non dimentichiamo che l’accesso ai fondi del MES è subordinato alla firma di un memorandum, che può essere modificato unilateralmente dal Consiglio dell’Unione europea (in materia di economia, l’Ecofin). Lo si legge chiaramente all’articolo 7 (comma 5) del Regolamento UE 472/2013:
La Commissione, d'intesa con la BCE e, se del caso, con l'FMI, esamina insieme allo Stato membro interessato le eventuali modifiche e gli aggiornamenti da apportare al programma di aggiustamento macroeconomico, al fine di tenere debitamente conto, tra l'altro, di ogni scostamento significativo tra le previsioni macroeconomiche e i dati effettivi, anche alla luce delle eventuali ripercussioni derivanti dal programma di aggiustamento macroeconomico, da ricadute negative e da shock macroeconomici e finanziari. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, decide in merito alle modifiche da apportare a tale programma.
Entrare nel MES significa dunque entrare in una trappola. Il memorandum può essere facilmente modificato per imporre al Paese programmi di austerità e le ben note “riforme strutturali”: vendita di asset strategici, compressione dei diritti dei lavoratori e via dicendo. Oltretutto, come abbiamo già sottolineato, le risorse che il MES mette a disposizione sono limitate nell’ammontare e nelle possibilità di utilizzo. Dove sono i soldi per i lavoratori e le imprese? Quelli per ricostruire il sistema sociale e produttivo?
Se tutti i Paesi dell’eurozona decidessero di accedere alle linee di credito del MES, lo stigma per il singolo Stato non ci sarebbe. Ma questa è un’eventualità lontana. I Paesi che subiscono maggiore stress finanziario sono proprio quelli che sarebbero più spinti a chiedere una linea di credito precauzionale. In questo modo, tuttavia, riceverebbero probabilmente lo stigma dei mercati finanziari. I tassi di interesse crescerebbero e spingerebbero il Paese coinvolto ancor più nelle braccia dei cosiddetti “programmi di assistenza”, in un circolo vizioso. Fino alla Troika.
Nel migliore dei casi, il Mes è inutile. Nel peggiore, è disastroso.
Secondo La Stampa, il governo non ha intenzione di usare la linea di credito. “L’importante adesso sarà spiegare bene che noi non lo attiveremo”, ha fatto sapere Giuseppe Conte. La possibilità di riformare i trattati del fondo salva-Stati sembra però una chimera, dato che servirebbe il sì anche di tedeschi e olandesi, che a malincuore hanno accettato di rimuovere le condizionalità più dure.
Pensare poi che ricorrere al MES possa servire ad affrontare la crisi è un po’ come pensare di combattere un drago con uno stuzzicadenti. Non solo si è ridicoli, ma si finisce anche bruciati. Insieme allo stuzzicadenti. Il rischio è che una parte dell’establishment italiano pensi di accedere al MES per legarsi le mani e svicolare dalle necessarie scelte politiche per il Paese. Una decisione che non solo ci renderebbe più poveri, ma anche meno liberi.
In definitiva, l’Eurogruppo non ha risolto il problema per lo Stato di finanziarsi per affrontare le conseguenze economiche del coronavirus e sostenere la ricostruzione. Accantonati gli eurobond, almeno per il momento, la palla passa alla Banca centrale europea. Quella britannica ha messo in campo il finanziamento monetario del deficit. L’istituto guidato da Christine Lagarde dovrebbe fare altrettanto.
[…] tavoli delle trattative europee ci sono diverse opzioni. Abbiamo chiesto al professor Massimo Amato e al professor Gennaro Zezza […]
Ho letto da qualche fonte (www.linkiesta.it) che comunque i 35 miliardi del MES ci costerebbero un tasso di interesse più basso e a una scadenza più lunga rispetto a dei BTP decennali.