Questo articolo si propone di dare una rigorosa visione d’insieme del nucleo teorico MMT evidenziando, da un lato, le demarcazioni con tutti gli altri approcci all’economia monetaria, e dall’altro, le implicazioni dello stesso sull’elaborazione di politica economica.
Il mercato
Si può partire da un aspetto che rimane spesso implicito in molta della letteratura primaria MMT. Tutti i principali approcci allo studio dell’economia, compresi quelli “eterodossi”, partono dall’assunto che il sistema economico emerga da una tendenza naturale insita nell’uomo. Che sia una tendenza a dividere il lavoro, allo “scambio tra equivalenti” o ad una spontanea socialità, il sistema economico, ed in particolare il mercato e le sue forze, vengono interpretati come realtà a priori dall’autorità politica, a volte addirittura in contraddizione con la stessa. Ciò porta spesso a schiacciare il dibattito di politica economica sulla polarizzazione “intervento statale" vs “libero mercato”.
Nell’approccio MMT, e la cosa ha solide basi storiche e logiche, il sistema economico, ed in particolare il mercato – inteso come sistema generalizzato di scambio di merci - vengono interpretati invece come il prodotto di premesse poste dall’autorità politica: in primis il sistema monetario. L’idea è che il sistema monetario non emerga da una spontanea selezione dei mezzi di pagamento e che non vi sia nulla di naturale in un sistema generalizzato di scambio di merci.
La linea di ragionamento primaria procede come segue. Lo Stato impone sul territorio il pagamento di tasse in una cosa specifica di cui lui è il solo creatore: la valuta. Questa imposizione crea nella popolazione la necessità di rifornirsi di tale specifica valuta, necessità che induce la stessa a farsi venditrice di merci e lavoro in cambio di valuta. La tassazione crea quindi un’offerta generalizzata di merci in cambio di una valuta specifica. Il fatto poi che la tassazione venga imposta ad una popolazione molto più estesa di quella a cui lo Stato fornisce direttamente la valuta con la spesa pubblica (l’unica fonte di valuta) fa sì che parte della popolazione sia obbligata a ottenere valuta da altri privati.
Ne risulta un sistema generalizzato di scambio-arbitraggio di valuta che collateralmente porta ad un sistema generalizzato di scambio di merci. Quello a cui ci riferiamo solitamente come mercato è quindi il risultato della tassazione, che crea l’offerta di merci, e dell’induzione dello scambio valuta tra privati. È bene osservare che l’utilità che lo stato trae dal sistema monetario messo in piedi è di avere accesso a parte della produzione. È importante sottolineare che le tasse non influiscono in nessuna misura sulla capacità dello Stato di spendere. Tra l’altro tutta la valuta che viene ritirata-distrutta con le tasse è stata necessariamente prima creata-immessa nel settore privato con la spesa pubblica: quindi la tassazione avviene sempre dopo la spesa e in nessun caso può “finanziarla”[1].
La MMT vede dunque le forze di mercato emergere grazie ad un quadro costituito e definito nelle sue caratteristiche dallo Stato. Per questo non si può intendere l’intervento statale come in contrasto con il mercato dato che il mercato è esso stesso una costruzione statale. In quest’ottica i risultati di mercato sono sempre il prodotto di come lo stesso è dallo Stato strutturato: in primis dalle scelte in termini di livello e distribuzione di tassazione, spesa e deficit pubblico.
Il Monopolio
Il secondo aspetto centrale, e forse il più importante, che distingue la MMT da qualsiasi altro approccio è il riconoscimento della valuta come monopolio. Dove per monopolio si intende esattamente il fatto che ogni valuta abbia in uno Stato il suo unico fornitore [2]. Per essere precisi, quando parliamo di unico fornitore di valuta intendiamo unico fornitore di attività finanziaria netta in un una data unità di conto. Per capire di cosa parliamo, si ricevono attività finanziaria nette quando si riceve un pagamento, quindi quando la posizione finanziaria migliora; non quando si riceve un prestito. Solo lo Stato è in grado di fornire al settore privato [3] valuta in questo senso.
Lo Stato, da monopolista, definisce il valore della valuta determinando ciò che il settore privato deve fare o fornire per ottenere la valuta che fornirà nell’immediato futuro. Come qualsiasi monopolista il prezzo è ciò che si deve pagare per la prossima fornitura. In altri termini il valore della valuta è una funzione dei prezzi che lo Stato paga con la spesa pubblica. Di qui si riesce a distinguere l’inflazione-deflazione dovuta ad un cambiamento nel valore della valuta da inflazione-deflazione dovuta ad un cambiamento nel valore relativo dei beni.
Se il livello dei prezzi aumenta perché lo Stato decide di pagare progressivamente prezzi più alti per le medesime merci o il medesimo tempo di lavoro è diverso dal caso in cui aumenta perché, per esempio, la siccità ha portato ad un aumento del valore relativo dei beni agricoli rispetto alle altre merci. Di qui si riesce anche a dare una lettura al tasso di cambio come un’espressione del rapporto tra i valori di due valute definiti dai rispettivi Stati e non come l’espressione di equilibri commerciali tra paesi. In questo senso l’equilibrio commerciale è in parte il risultato, e non la causa, di politiche che interessano dinamiche di prezzamento della valuta da parte degli Stati. In altri termini i tassi di cambio non si modellano sui deficit o i surplus commerciali ed è anzi in qualche misura il contrario.
Deficit e debito pubblico
In ambito MMT il deficit pubblico, la differenza tra spesa pubblica e tassazione, viene quindi visto come la quantità di valuta che lo Stato ha creato-immesso nel settore privato con la spesa pubblica e che non ha ancora ritirato-distrutto con la tassazione. In effetti contabilmente il deficit pubblico corrisponde esattamente al risparmio privato del rispettivo anno.
Il debito pubblico, la somma di tutti i deficit pubblici pregressi, corrisponde quindi alla ricchezza finanziaria del settore privato. Non è altro che una registrazione contabile per lo Stato, è composto da 3 forme (riserve bancarie, contante e titoli di Stato), non deve mai essere annullato e in sé non rappresenta nessun problema di carattere finanziaria se denominato nella valuta di cui lo Stato è monopolista.
Disoccupazione
La disoccupazione è la situazione in cui la tassazione induce nella popolazione una domanda di valuta superiore a quella fornita dallo Stato con la spesa pubblica. Consiste quindi in persone che offrono il loro lavoro per ottenere valuta ma non trovano soggetti disponibili ad offrirla. La disoccupazione dipende quindi da un deficit pubblico troppo limitato e da una discriminazione nell’accesso alla valuta.
A differenza che nel caso degli altri approcci la MMT riconosce la piena occupazione, intesa come disoccupazione involontaria al 0%, come una realtà raggiungibile e sostenibile in combinazione con la massimizzazione della stabilità del livello dei prezzi.
Le implicazioni di politica economica, dati come obbiettivi la piena occupazione, l’eliminazione della povertà assoluta e più in generale il progresso socio-economico [4] portano alla definizione di un programma di minima, un quadro di partenza all’interno del quale sviluppare l’elaborazione di politica economica.
Questo programma di minima consiste prima di tutto nell’utilizzazione del deficit in modo elastico al fine del mantenimento della piena occupazione. Il monopolista fissa il prezzo della valuta e lascia la sua quantità variare al fine di soddisfare sempre completamente la domanda di valuta, quindi mantenere la piena occupazione.
La proposta per ottenere ciò è da una parte quella aggiustare il livello di spesa e tassazione in modo da rispondere alla domanda di valuta ma, per assicurarsi che tutti abbiano accesso diretto alla valuta, è anche necessario organizzare un programma di impiego pubblico, chiamato Piano di lavoro di Transizione (in inglese Job guarantee) con un salario al di sopra del livello di povertà assoluta cui tutti hanno accesso. In questo modo la disoccupazione scompare in modo permanente ed il fatto che il programma abbia un salario orario fisso ancora il valore della valuta al tempo di lavoro massimizzando la stabilità dei prezzi (per una serie di ragioni che non è questo il momento di approfondire).
In sintesi, la MMT spiega che “tutto quello che è tecnicamente possibile è sempre finanziariamente possibile” e la prima cosa che prescrive è di attivare sempre completamente la capacità produttiva del sistema mantenendo sempre il deficit pubblico a livello di piena occupazione.
L'autore consiglia il sito Rete MMT per approfondire.
[1] Stiamo parlando di uno Stato monopolista della valuta, non di uno Stato che adotta una valuta straniera.
[2] Nel caso dell’eurozona lo Stato è l’insieme di tutti i ministeri del Tesoro e del SEBEC.
[3] Inteso come l’insieme di soggetti che non sono parte dell’amministrazione pubblica e banca centrale.
[4] Che l’autore dell’articolo interpreta liberamente come una società in cui, non esistendo povertà assoluta e disoccupazione, le persone possono scegliere il loro lavoro, quindi la loro vita, invece di subirla, avendo sempre accesso ad un set di percorsi biografici dignitosi. Una società dove lo stato non autolimita il suo contributo e la vita dell’economia in funzioni di limiti ideologici arbitrari in termini di politica fiscale.
[…] Ocasio Cortez. Da anni ormai l’ambiente della sinistra americana flirta con quello della Modern Monetary Theory, che è salita alle luci della ribalta negli ultimi mesi grazie alla pubblicazione di The Deficit […]
[…] e di difficile individuazione. Non vi è ancora abbastanza evidenza empirica che le tesi della Modern Monetary Theory siano corrette. Inoltre, indubbiamente, la spesa per interessi, che è quella che più grava sul […]
[…] È stata Alexandria a farti conoscere la MMT o l’hai conosciuta attraverso altre […]