Qual è la vera posizione economica della Lega? Il partito guidato da Matteo Salvini oscilla fra liberoscambismo e protezionismo, fra laissez-faire e istanze keynesiane. Tuttavia, il suo Dna originario è indubbiamente liberista. Non è chiaro se e quanto le mutazioni genetiche che ha subìto abbiano influito sulla sua identità economica.
1. Le origini
Il partito ai tempi di Umberto Bossi si fa promotore di un “liberismo federalista” e allo stesso tempo ha un forte radicamento nelle classi operaie, tanto da essere definito nel 1995 da Massimo D’Alema una “costola” della sinistra. L’anti-statalismo della Lega Nord è un tratto che caratterizza il movimento e anima molte delle invettive contro i “carrozzoni” romani. Proprio dal federalismo ispirato da Gianfranco Miglio deriva l’ostilità verso un ruolo accentratore e interventista delle autorità pubbliche: oltre alla secessione si chiedono meno tasse e meno burocrazia. Meno Stato, insomma.
L’alleanza con Silvio Berlusconi mantiene il partito su una linea liberista, uno dei maggiori traits d’union con Forza Italia. Lo stesso Popolo della Libertà, nato nel 2009, assume questo posizionamento economico. La visione di destra sociale di cui c'erano tracce in Alleanza Nazionale rimane marginale e praticamente ininfluente nel partito nato dalla fusione delle formazioni politiche di centrodestra.
2. Il crollo e la svolta
La situazione cambia dopo il crollo della Lega Nord, precipitata al 4% nelle elezioni politiche del 2013. La dirigenza del partito viene assunta a dicembre da Matteo Salvini. Il neo-segretario sembra portare la Lega su una linea più protezionista, caratterizzata da un nazionalismo economico a tratti incompatibile con il liberismo delle origini.
Nel 2014 l’ex dirigente bancario della Deutsche Bank Claudio Borghi si avvicina al partito, per il quale scrive un manuale intitolato “Basta Euro”. Già Bossi nel 2011, nel pieno della crisi, aveva criticato la moneta unica, definendola un “errore storico” e dicendo: “Forse noi al nord, in Padania, potremmo farcela con un moneta forte ma il sud rischia di fallire”. Ma ora la svolta è netta: la Lega Nord diventa un partito anti-euro.
Dopo una breve fase di reviviscenza del "nordismo" (basti ricordare il motto "Prima il Nord" ancora utilizzato nella primissima parte dell'era Salvini), la Lega inizia a dismettere il suo armamentario vecchio-stile legato al secessionismo delle origini. La scommessa di Salvini è chiara: cavalcare il risentimento popolare per creare un partito di respiro nazionale.
Negli anni seguenti si avvicinano alla Lega, o meglio a Salvini, alcune personalità del mondo accademico ed economico italiano, fra le quali spicca il professore dell’Università di Pescara Alberto Bagnai, di orientamento post-keynesiano. Dal 2011 Bagnai organizza con la sua associazione A/simmetrie un convegno che esprime posizioni euroscettiche e nel 2012 pubblica un libro intitolato “Il tramonto dell’euro”. In Italia è uno dei maggiori critici delle politiche di austerità e raccoglie un ampio seguito. Proprio per questo viene notato da Salvini (che ha già Borghi fra le sue fila). Dopo qualche flirt, il professore viene candidato dalla Lega alle politiche del 2018 e viene eletto senatore.
Borghi e Bagnai sono fra i volti più noti della nuova Lega. Molto attivi su Twitter, sono l’anima keynesiana e anti-austerity del partito. Hanno attratto numerosi elettori delusi dalla sinistra, che hanno visto nel partito di Salvini un nuovo soggetto capace di farsi portatore di istanze sociali. Questa tendenza è confermata dai dati elettorali, che vedono il partito più radicato fra i ceti bassi rispetto a quelli abbienti. La Lega, tuttavia, si tiene stretti i legami con il tessuto imprenditoriale del nord, connesso alla catena produttiva tedesca e quindi poco favorevole all’uscita dall’euro.
3. Dal governo gialloverde a oggi
Con l’arrivo al governo le posizioni anti-euro della Lega si attenuano e perdono via via rilevanza mediatica. Resta l’opposizione all’austerità e a trattati di libero scambio come il Ceta. Le istanze più rivoluzionarie scivolano fuori dall’agenda. Secondo alcuni è strategia, secondo altri è un voltafaccia opportunistico, dettato dalle pressioni dell'ala legata al tessuto imprenditoriale del Nord.
Con la fine del governo Conte 1, la Lega torna all'opposizione e naturalmente riacquistano forza le visioni più radicale. Ma il partito di Salvini è davvero keynesiano? Sicuramente non è statalista. Tanto che il 22 novembre del 2019 il leader della Lega dichiara a proposito dell’Ilva: “In economia meno lo Stato fa, meglio è”. E ancora ad aprile 2020 propone un'"alternativa liberale per uscire dall'emergenza coronavirus e far ripartire il Paese".
Nonostante tutte queste contraddizioni, non restano ormai molti dubbi su quale sia la vera natura della Lega, al di là delle posizioni sui temi economici adottate strategicamente di volta in volta.
Ma qual è la visione economica dei suoi elettori? O meglio, delle diverse classi dei suoi elettori?
Questi interrogativi sono ben più interessanti. Sembra infatti che vi sia un’”illusione socialista” in una parte dei sostenitori della Lega, che la vedono come l’unica alternativa a una sinistra che ritengono ormai lontana dalle istanze dei lavoratori. Il dilemma resta aperto, ma il partito, nonostante tutto, sembra rimanere ancora essenzialmente liberista.
La Lega è l’unico partito di sinistra popolare interclassista d’Italia, che vede nella sussidiarietà l’equilibrio perfetto tra le stanze delle PMI e delle partite IVA e quelle dei pensionati e degli operai, contadini, pescatori, allevatori, pastori, insegnanti, medici, poliziotti e ricercatori e precari.
Libera impresa ma anche tutele e protezionismo, con uno Stato che non sia etico o paternalistico o moralistico (come voleva essere quello di Miglio e Pagliarini così ricolmi di Hayek & Co.) ma eserciti la golden rule esattamente come fa quello tedesco.
Niente vecchie etichette novecentesche ma neanche “nè destra nè sinistra” stile M5S, semplicemente i diritti socioeconomici collettivi vengono prima dei diritti civili individuali e questo può attrarre simpatie sia a destra sia a sinistra senza scontentare nessuno in quanto si parla a ciò che unisce trasversalmente, cioè la comunità fatta di relazioni interpersonali e lavorative tra elementi diversi il cui equilibrio fornisce però una sostanza identitaria e appunto comunitaria (come nell’originario spirito no-global di Seattle), senza dogmi (tipo luddismo, clericalismo – la Lega è l’unico partito che vuole l’abrogazione della legge Merlin -, scientismo, pseudoambientalismo velleitario o manie del controllo orwelliane) e con una spiccata visione pro-natalista (che non vuol dire antiabortista), memore del detto di Rousseau che il primo indicatore di benessere di uno Stato (inteso anche come fiducia nel futuro) è l’aumento demografico.
Ci differenziamo dai liberisti anche perchè vogliamo che risalga l’inflazione e si riaccompagni alla scala mobile sui salari e la proposta Siri-Bitonci sulle tasse è semplice e condivisibilissima: aliquota forfettaria del 15% per i nuclei ISEE fino a 70.000 € con sostituzione di tutte le detrazioni (inclusi gli 80 €) con un’unica deduzione basata sul quoziente famigliare per garantire la progressività richiesta dalla Costituzione, mentre l’aliquota sale al 20% oltre la suddetta soglia.
Vogliamo almeno raddoppiare tutte le pensioni di invalidità civile dall’80% in su.
Per le pensioni normali non distinguiamo tra lavori usuranti o meno, bensì sul fatto che la scienza vede nello stesso avanzamento dell’età il declino psicofisico e quindi possiamo avere operai 65enni arzilli e gelatai 59 enni pieni di ernie e crediamo nel diritto dei nonni a godersi i propri nipoti, quindi l’obiettivo di quota41 è quello di poter mandare in pensione anche chi avesse 59 anni ma avesse iniziato a lavorare e versare i contributi già a 18.
Un’alternativa proposta da Borghi è il contributivo puro senza requisiti ma dev’essere discussa ed elaborata meglio e magari riservata a chi risultasse residualmente penalizzato dalla stessa quota41 in circostanze particolari per le quali non esistono altre tutele quali RdC, CIG, pensione di invalidità, etc.
I punti sarebbero ancora tantissimi ma per ora alcuni da chiarire erano questi.
Neppure sul CETA restarono coerenti: da Ministro, Centinaio dichiarò che occorreva attendere a disapplicarlo, per avere più tempo di valutare i risultati (in pratica subendo pressioni di grandi aziende del nord, favorite dall’accordo, a differenza delle piccole realtà soprattutto meridionali)
Per la precisione:
“Flat tax Lega. Le novità della proposta? “Un’aliquota unica per le famiglie mono-componente con reddito fino a 30 mila euro, le famiglie monoreddito fino a 60 mila euro e le famiglie con reddito fino a 70mila euro. Si lascia il concetto della tassazione individuale per passare a una tassazione familiare”
Alla faccia di Laffer, della sua curva e di chi non legge le proposte e le valuta solo sulla base di chi le presenta!!!
Scusa ma chissenefrega di Laffer?
Primum semplificare, poi la famiglia va incentivata economicamente, e le aliquote sono solo 2, al 15% per nuclei ISEE e società fino a 70mila euro annui di utile, al 20% al di sopra di tale soglia, quindi il potere d’acquisto dei cittadini aumenta e con esso si risolleva la domanda interna aggregata.
Basta con le ricette dal lato dell’offerta!
Completamente d’accordo,del resto la Lega insieme a tutto il centro-destra,propone la Flat tax,ispirata dalla famosa curva di Laffer, cavallo di battaglia di tutte le destre liberiste del mondo! Poi,vicino alla Lega,c’e’Giulio Tremonti che è un mix di Colbertismo e liberismo. La sua proposta per uscire dalla crisi post Covid 19 e’l’abolizione articolo 41 della Costituzione che limiterebbe l’iniziativa privata!