Il dibattito economico e politico si è acceso dopo la proposta di Enrico Letta, segretario del PD, di istituire una dote per i diciottenni, finanziandola con un’imposta sulle successioni e sulle donazioni. La risposta del Presidente Draghi è stata perentoria, dicendo che “non è il momento di prendere soldi dai cittadini ma di darli”, come se questo non fosse il tempo per fare politiche redistributive.
La proposta del PD consiste nel dare 10mila euro alla metà dei diciottenni ogni anno, pari all’incirca a 280mila ragazzi e ragazze, sulla base dell’ISEE familiare. Questa dote dovrebbe avere il vincolo di spesa per 1) formazione e istruzione; 2) lavoro e piccola imprenditoria; 3) casa e alloggio.
Il costo sarebbe di circa 2,8 miliardi di euro annui, finanziati tramite un’imposta di successione: l’aliquota massima sarebbe incrementata dal 4% al 20% per le eredità e donazioni (tra figli e genitori) superiori ai 5 milioni di euro.
In realtà, la proposta di Letta è una versione rivista (e forse depotenziata) di quella indicata dal Forum Disuguaglianze Diversità dell’ex ministro Fabrizio Barca: la dote è prevista per tutti i diciottenni, pari a 15 mila euro e senza vincoli di spesa.
La nuova imposta sulle successioni e sulle donazioni, che tenderebbe a finanziare parzialmente la dote, sarebbe molto più progressiva di quella odierna. Essa si articolerebbe in questo modo: a) una soglia di esenzione pari a 500mila euro valida per tutti (l’aliquota marginale è dunque pari a 0% per i primi 500mila euro ricevuti lungo il corso della vita); b) aliquota marginale del 5% tra i 500mila euro e 1 milione di euro; c) aliquota marginale del 25% tra 1 milione e 5 milioni di euro; d) aliquota marginale del 50% oltre i 5 milioni di euro.
Partendo da queste premesse, abbiamo intervistato il professor Salvatore Morelli dell’Università Roma Tre, membro del Forum Disuguaglianze Diversità.
D: Il Forum DD nel 2019 ha avanzato 15 proposte per la giustizia sociale ispirate all’economista Anthony Atkinson. Quali sono gli obiettivi che volete raggiungere con queste proposte?
R: "Il progetto del Forum Disuguaglianze Diversità è stato sicuramente guidato e ispirato dal “Program for action” di Anthony Atkinson, e il suo ultimo libro che scrisse prima di morire “Disuguaglianza. Cosa si può fare?” (Cortina Editore ndr). Il forum DD ha sostanzialmente condiviso la lettura e l'impostazione dello studioso Atkinson e l'ha utilizzata nella propria analisi sulle tre categorie di disuguaglianze che noi identifichiamo, disuguaglianze economiche, sociali e di riconoscimento.
In particolare, i promotori del Forum ritengono che l'incremento delle disuguaglianze sia in larga misura il risultato di scelte politiche, culturali ed economiche e che quindi non sia necessariamente ineluttabile: non bisogna credere che non ci sia nulla da fare.
Riprendendo la lettura di Anthony Atkinson, è come se questo aumento che noi registriamo nei dati e negli studi sulle disuguaglianze fosse il risultato della cosiddetta “inversione ad U” delle politiche pubbliche, a partire dalla perdita del potere negoziale del lavoro, dal cambiamento del senso comune che guida anche la narrativa e la discussione intorno a queste tematiche: il cosiddetto “inequality turn”.
Nel farlo il ForumDD ha sicuramente voluto identificare un focus di analisi iniziale. Perciò siamo partiti dallo studio dell'analisi della ricchezza privata e della sua distribuzione nella popolazione, ma anche all'accesso della ricchezza comune, come fattori determinanti nell'influenzare poi tutte le altre dimensioni della disuguaglianza. Nel farlo abbiamo identificato tre processi decisivi nella formazione nella distribuzione a ricchezza: il cambiamento tecnologico, il passaggio generazionale, ovvero il trasferimento di risorse economiche di generazione in generazione, e la relazione negoziale tra lavoro e impresa. Quindi ci siamo detti che le proposte da noi avanzavate dovevano avere come obiettivo il riequilibro di potere all'interno dell'economia e della società, e dunque avere a cuore la riduzione delle disuguaglianze economiche, sociali, e di riconoscimento.
Le disuguaglianze economiche sono identificate come concentrazione della conoscenza, della ricchezza, dei redditi bassi e dei precari, ma anche la mortificazione di dignità, e dell’autonomia del lavoro soprattutto per i giovani e per le donne. C’è anche però la distanza nei punti di partenza dei giovani quando progettano la vita, nella fase di transizione verso la vita adulta.
Ridurre le disuguaglianze sociali invece significa garantire l’accesso e la qualità dei servizi fondamentali, tra i quali salute, welfare, istruzione, comunicazione, mobilità. Questi servizi fondamentali sono distribuiti in maniera sostanzialmente eterogenea nel territorio: abbiamo vasti territori marginalizzati nel nostro paese. Abbiamo anche la nostra attenzione su una questione importante come la perdita di controllo dei nostri dati personali. E’ per questo che alcune delle nostre proposte sono volte a promuovere un governo collettivo dei dati .
Infine crediamo che sia importante prestare attenzione anche alle disuguaglianze di riconoscimento. Vogliamo affrontare di petto il fatto che viene sempre meno il riconoscimento e il rispetto dei valori, del contributo sociale e delle aspirazioni proprio di quelle persone che esercitano sempre meno potere".
D: Nelle 15 proposte, l’ultima ha conquistato importanza grazie alla proposta del segretario del PD Letta. Si stanno facendo dei passi in avanti sui temi della giustizia sociale in Italia?
R: "In Italia si fa una grande fatica a parlare di giustizia sociale e questo è sotto gli occhi di tutti. Dunque, di converso, si fa fatica anche a parlare di politiche sociali ed economiche mirate all'avanzamento e alla promozione di un'agenda per la giustizia sociale. Secondo me ogni passo in questa direzione è benvenuto, purché non presti il fianco a facili narrative che distolgono l'attenzione dai temi cruciali. Innanzitutto, rimarcherei due cose: la prima è che in un mondo in cui è in atto una crisi climatica, parlare di giustizia sociale senza parlare di giustizia ambientale rischia di essere un'anatra zoppa: abbiamo perciò bisogno di tenere queste due gambe insieme.
Tutto ciò rende la sfida ancora più complessa e culturalmente anche più complicata da gestire.
Abbiamo poi bisogno di discutere quale sia l'impianto concettuale, secondo me, che ci aiuta a giudicare le politiche pubbliche, anche in relazione all'obiettivo che ci siamo prefissati.
Per giustizia sociale molti intendono ad esempio il mero atto di trasferimento di risorse monetarie, di sussidi, di sconti fiscali. Tutto ciò viene automaticamente associato ad una narrativa ed una retorica negativa, prevenuta ed un po’ preconcetta, ma anche paternalista, delle persone in stato di bisogno. Invece l'accezione che a noi sembra più utile rimarcare è quella consacrata nell'articolo 3 della nostra Costituzione, che indica cioè che il compito della Repubblica, e quindi di tutte le istituzioni e di tutti noi cittadini è quello invece di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono, citando direttamente l’articolo 3, “il pieno sviluppo della persona umana” e cioè l'effettiva partecipazione sociale, economica e politica di tutti i cittadini, dei lavoratori e delle lavoratrici. Questa è una visione molto bella e profonda di giustizia sociale, che rimarca il concetto di pieno sviluppo della persona umana in termini di libertà, di uguaglianza e partecipazione.
Questa visione è anche ben collegata all'impianto che noi stessi nel ForumDD abbiamo usato come guida nella delineazione delle nostre proposte. Abbiamo sempre detto apertamente che l'articolo 3 era il nostro faro, una sorta di guida concettuale al nostro agire, a cui abbiamo anche associato un altro impianto concettuale che si è sviluppato alcuni decenni dopo a partire dall'economista premio Nobel Amartya Sen, che interpretava il concetto di giustizia sociale come libertà sostanziale degli individui.
In questo caso lo spazio di intervento pubblico dovrebbe essere volto a facilitare la costituzione di capacità degli individui, cioè fornire quegli strumenti attraverso i quali ognuno di noi riesce liberamente a realizzare ed a maturare le scelte e gli obiettivi a cui diamo valore, quindi la libertà di realizzare la vita a cui si è scelto di dar valore indipendentemente dagli altri. Vedendole sotto questa ottica, in un certo senso le scelte di intervento pubblico, soprattutto quelle di welfare e relative a servizi essenziali, devono essere abilitanti e capacitanti: cioè devono accompagnare le persone nel realizzare il proprio disegno di vita.
Dunque, legandomi anche a ciò che ho detto prima, ovvero tenere insieme le due gambe di giustizia sociale e ambientale, in questo senso bisognerebbe anche far sì che la garanzia e la promozione della libertà sostanziale degli individui oggi non metta poi in discussione la promozione della libertà sostanziale delle prossime generazioni, ragionando in un'ottica di sostenibilità".
D: La prima impressione dopo la lettura della proposta del segretario del PD Letta è quella di una versione più timida della vostra (sia per la dote che per la tassa di successione). Secondo lei, la proposta del PD è un giusto compromesso o non è ancora abbastanza?
R: "La proposta del ForumDD prevede due interventi paralleli: da un lato include che al compimento dei diciotto anni ogni ragazza e ragazzo ricevano una dotazione finanziaria, che noi chiamiamo eredità universale, pari a 15.000 €: quindi più o meno il 10% della ricchezza pro capite di tutti gli individui nel nostro paese. Tale dotazione è priva di condizioni di utilizzo ed è accompagnata da un tutoraggio che parte anche dalla scuola, non necessariamente solo a 18 anni, per far sì che sia un'occasione di discussione collettiva di utilizzo di queste risorse.
Dall'altro lato si propone una tassazione progressiva sulla somma di tutte le eredità e le donazioni, cioè tutti i trasferimenti di ricchezza ricevuti nell'arco della vita di ogni singolo individuo al di sopra di una certa soglia. La soglia di esenzione viene identificata, nella proposta del ForumDD, in 500mila euro.
L'obiettivo di questa proposta è livellare verso il basso le grandi fortune ereditate dai singoli nel corso della propria vita e livellare un po’ verso l'alto le basi della ricchezza finanziaria da cui si parte, quelle su cui si può contare in una fase cruciale della vita come la transizione verso la vita adulta. Si tratta dell'unica proposta che abbiamo avanzato che è tecnicamente di tassazione e di redistribuzione, mentre tutte le altre si proponevano meramente di riequilibrare i poteri e la redistribuzione delle risorse a monte, cioè prima degli interventi nel e del mercato. A ben vedere in realtà anche questa proposta di tassazione e distribuzione ha elementi fortissimi di pre-distribuzione proprio perché è volta a livellare le condizioni economiche di partenza di chi tra l'altro si accinge a partecipare attivamente alla società e all'economia per la prima volta. Infatti, i neo-diciottenni sono coloro i quali stanno per entrare all'interno della dell'organizzazione socioeconomica del paese.
Inoltre, la tassazione in questo caso è volta invece a ridurre nel lungo termine la concentrazione della ricchezza.
Io credo che entrambe le proposte abbiano colto una serie di punti importanti e da cui secondo me è bene che si parta: in primis l'aumento della concentrazione dei patrimoni e dei lasciti ereditari nel nostro paese. L’Italia è un Paese dove i patrimoni delle famiglie contano sempre di più e sono sempre più concentrati. I lasciti ereditari pesano sempre di più nell'economia e sono sempre più concentrati.
Il secondo punto è che il nostro paese vede con grande favore la tassazione di questi trasferimenti di ricchezza, ovvero la donazione e l’eredità, sia in chiave storica sia in chiave comparativa con altri paesi: l’aliquota massima nel nostro paese, che è stata discussa molto negli ultimi giorni, è pari al 4% su trasferimenti in linea diretta, mentre nei paesi OCSE si parla del 15% in media.
Credo che il nostro Paese sia uno dei pochi al mondo che abbia eliminato due volte l'imposta di successione: una volta sotto il regime fascista e un'altra volta tra il 2001 e il 2006.
Il terzo punto è che l'Italia vive una profondissima crisi generazionale, che ovviamente ha radici complesse, legate al malfunzionamento del mercato del lavoro, al fallimento educativo, al crollo della natalità, alla marginalizzazione di alcune aree del nostro paese.
Certamente questi sono tutti punti importanti. Però spesso nella discussione pubblica ci si dimentica un pezzo importante della crisi generazionale, ossia il peso della distribuzione della ricchezza nel passaggio di generazione in generazione e il contesto di crescente disuguaglianza di distribuzione dei patrimoni e della ricchezza. Quindi, noi identifichiamo in questo ultimo punto un nodo di intervento.
Inoltre, entrambe le nostre proposte sottolineano un altro punto importante: che non c'è nulla di male nell’ ereditare risorse economiche e dunque nel rovescio della medaglia a provvedere alla famiglia e ai propri figli, in un'ottica di supporto. Ma l'eredità di fortune milionarie non dovrebbe essere necessariamente un'azione facilitata o addirittura incentivata dalla collettività, soprattutto se lo Stato ha a cuore invece l’uguaglianza di opportunità, il dinamismo dell'economia e la vivacità della nostra democrazia. In altre parole, esiste un diritto da parte delle famiglie di provvedere, ma esiste anche un diritto che non è necessariamente illimitato: lo Stato in questo senso è chiamato a intervenire.
La scelta vera in questo senso diventa per esempio la soglia di esenzione: cioè dove interveniamo? Noi del ForumDD abbiamo proposto 500mila euro e facendolo abbiamo anche ritenuto che sia una somma abbastanza generosa. Fino a questa somma ricevuta nell'arco della vita non si è tenuti a versare nulla, mentre al di sopra di questa soglia si comincia a versare in maniera limitata.
La somma dei 500mila euro è sufficiente oggi nel nostro paese per entrare circa nel 6% degli adulti più ricchi del paese. La proposta del Partito Democratico propone una soglia molto più alta, ovvero di un milione di euro.
Noi diciamo chiaramente che la proposta a del ForumDD vorrebbe prendere di petto la questione della grave crisi generazionale di cui ho parlato prima. Facendolo in un certo senso vorrebbe garantire alle nuove generazioni un'attenzione che non è sporadica, ma sistematica. Per questo quindi, compatibilmente questo obiettivo, la nostra proposta vuole istituire questa misura come una misura stabile e strutturale, e non una tantum.
Bisogna sempre ricordare che questa misura è solo un tassello, cioè un piccolo pezzettino di un puzzle molto più complesso. Per risolvere una crisi generazionale così forte non esiste certo una bacchetta magica. Gli interventi pubblici devono essere complessi poiché la crisi generazione viene da lontano ed ha radici complesse. Sicuramente l'istituzione di una misura di questo tipo non risolverebbe tutti i problemi tout court. Tuttavia, senza sminuire l'importanza di tutti gli altri temi come il mercato del lavoro, l'accesso ad un'istruzione di qualità, la riduzione dei tassi di abbandono scolastico etc. è utile ribadire che il tema dell'accesso alle risorse finanziarie e quindi alla ricchezza rimane un tema cruciale, che non può essere ignorato.
È importante riconoscere che due persone che escono dallo stesso percorso educativo e che hanno le stesse capacità, che hanno messo lo stesso impegno negli studi e hanno raggiunto gli stessi obiettivi, prenderanno decisioni diverse se queste due ragazze o questi due ragazzi possono contare su un patrimonio familiare sostanzialmente diverso. E’ probabile che le scelte di vita di queste due persone siano molto diverse, che la propensione al rischio sia molto differente, come anche la propensione a creare un'impresa. Il grande merito, secondo me, di entrambe le proposte è proprio sottolineare l'importanza dell'accesso alle risorse finanziarie, che tra l'altro in un’economia di mercato capitalista con distorsioni dei mercati finanziari e del credito rappresenta un aspetto cruciale".
D: Nella vostra proposta della dote ai diciottenni rimarcate l’importanza dell’universalità e della incondizionalità, elementi non presenti in quella del PD. Per quale motivo sono elementi così fondamentali? Sarebbe favorevole a rinunciare a questi due principi pur di approvare la proposta di Letta?
R: "La misura di eredità universale promossa dal ForumDD ha l'obiettivo generale di accrescere la libertà sostanziale dei giovani nella fase di transizione verso la vita adulta e quindi, in un certo senso, vuole ridurre il condizionamento che la presenza o addirittura l'assenza di grandi patrimoni familiari hanno nei confronti delle scelte di vita. È vero che nel nostro paese i destini di vita dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze sono sempre più segnati dal contesto economico familiare di provenienza: è sempre più intuitivo andare a capire qual è il posizionamento socioeconomico dei figli nel futuro a partire dalla posizione iniziale della famiglia di provenienza. Se è sempre più facile indovinare questo contesto socioeconomico di arrivo a partire da quello di partenza, vuol dire che viene a mancare un dinamismo sociale e una mobilità socioeconomica. Quindi, di converso, si immobilizza l'economia del nostro paese e si sfalda il tessuto sociale. L'obiettivo della misura è sostanzialmente quello di vivere in una società dove la lotteria della nascita conti sempre di meno. Ovviamente nessuna misura può facilmente annullare il vantaggio di partenza, però si può ridurre questa forbice per far sì che la ricchezza familiare sia sempre meno determinante, riducendo le disuguaglianze di opportunità: quindi l’obiettivo realistico non è certo quello di eliminare le disuguaglianze iniziali, ma quello di ridurle.
L'obiettivo è anche quello di accrescere la libertà sostanziale, il senso di responsabilità e l'impegno dei ragazzi e delle ragazze, che nella fase di transizione verso la vita adulta si troveranno potenzialmente a discutere fra loro o con l'intera comunità, con i genitori, con gli amici già molti anni prima su come utilizzare potenzialmente questa dotazione di risorse. Compatibilmente con questi obiettivi che ci siamo dati abbiamo sottolineato l'importanza di difendere i principi da un lato di universalità e dall'altro di incondizionalità della misura.
Partiamo dall’incondizionalità. Nel nostro pacchetto di proposte l’eredità universale è un trasferimento non condizionato, cioè non vincolato a nessun uso specifico, proprio perché l'obiettivo è quello di accrescere la responsabilità e la libertà di scelta, per poter perseguire il proprio obiettivo di vita. Si potrebbero certo inserire dei paletti alle scelte, il punto però è come fare la scelta e come giustificarla: possiamo chiederci ad esempio se comprare una macchina sia una scelta giustificabile o no. Un ragazzo o una ragazza che vive in città potrebbe essere favorevole a questo paletto poiché vedono la macchina come un vezzo, mentre una persona che vive in un'area rurale potrebbe sostenere che in realtà senza comprare un mezzo di trasporto non potrebbe avere accesso ad un lavoro.
Lo stesso potrebbe essere vero per la potenziale scelta di utilizzare queste risorse finanziarie per liberare un genitore dal peso di un debito. Secondo alcuni, questa scelta potrebbe considerata un segno di mancanza di libertà e di subalternità, ma invece da parte di un figlio o di una figlia potrebbe essere invece un segno di affrancamento e di emancipazione o di reciprocità.
Il punto è esattamente che noi non possiamo necessariamente sapere ex ante in quali di queste condizioni riusciamo ad approdare e quindi difendere l'incondizionalità d’utilizzo in questo senso non significa abbandonare i nostri giovani al loro destino. Semplicemente significa dire che invece di introdurre divieti e vincoli, possiamo adoperarci affinché si predispongano nelle scuole a partire magari dai 14 o dai 15 anni dei servizi di abilitazione e di accompagnamento, che aiutino a prendere decisioni informate ed a far emergere le preferenze dei ragazzi e delle ragazze. Questo vuol dire riconoscere che anche i ragazzi hanno dei limiti cognitivi, che c'è un divario di capacità di maturare le decisioni e che spesso questo dipende proprio dal contesto familiare di origine e dal contesto socioeconomico di provenienza. In conclusione, la soluzione a questo problema non sono i vincoli, ma dei servizi che aumentino la responsabilizzazione e la libertà di scelta. Infine, considerando un aspetto più pratico, un’eventuale condizionalità porrebbe delle rilevanti questioni di monitoraggio. Così bisognerebbe innanzitutto identificare la lista della spesa specificando i divieti in modo molto preciso, e poi bisognerebbe specificare anche quali sono le banche dati, le metodologie, la tecnologia che permetterà di monitorare il rispetto di queste condizioni. Ciò prevede dei costi e anche dei rischi di elusione.
L'universalità invece parla di tutt'altro: significa garantire non solo chi ha le spalle già coperte, ma anche a chi proviene dai contesti più agiati. Da un lato dare l’eredità a chi proviene da contesti economicamente svantaggiati significa ridurre gli ostacoli alla libertà di scelta di chi proprio non avrebbe avuto la possibilità di contare su una dotazione finanziaria. Invece, dando l’eredità a tutti e quindi anche a chi ne ha meno bisogno, significa in un certo senso ridurre il condizionamento che l'accumulazione di ricchezza privata della generazione precedente ha sulla scelta e sulle possibilità di scelta di quella successiva.
Il presupposto qui è riconoscere che anche i giovani e le giovani che dispongono di mezzi finanziari (non propri ma della famiglia) potrebbero anch'essi essere condizionati nelle scelte. Perché prendere una decisione del genere? Innanzitutto riteniamo che tale scelta significhi rafforzare anche il senso comune di appartenenza alla società. Tutti quanti siamo degni di considerazione. In questo caso è una generazione intera che viene considerata degna di riconoscimento senza distinzione fra “noi e loro”.
In Italia quasi tutti gli interventi di welfare sono selettivi: questi devono rimanere come sono, mentre quello che noi suggeriamo è che mancano ancora all’interno del nostro sistema di intervento sociale dei mattoncini di universalismo, e questa proposta potrebbe proprio rappresentare uno di questi mattoncini più piccoli, ovviamente tutto ciò all'interno di una piccola categoria, ovvero i neo-diciottenni. Inoltre, bisogna anche pensare che l'universalità descritta in questo modo, secondo noi, potrebbe anche rafforzare l'accettabilità dell'imposta, perché non ci sarebbero più persone che pagano soltanto e persone che ricevono soltanto. Se io ho avuto la fortuna di ricevere in vita è probabile che quando sarò chiamato a contribuire nel futuro lo farò forse un po’ più volentieri.
Poi anche qui, come nel caso dell’incondizionalità ci sono considerazioni molto pratiche a favore dell’universalismo: perché, come abbiamo detto prima, la selettività genera un po’ di arbitrarietà tra chi sta sopra e chi sta sotto la soglia. Infine, una soglia di selezione creerebbe potenzialmente anche delle distorsioni perché chi è sopra la soglia cercherà di mostrare di essere in realtà al di sotto per poter essere pescato tra i beneficiari. Quale sarebbe la soglia e quante persone escluderebbe? Ad esempio, escludendo l’1% più ricco dei beneficiari neo-diciottenni, nel caso in cui le identifichiamo come persone degne di essere escluse poiché particolarmente abbienti, staremmo poi parlando di 6mila ragazzi e ragazze. Il risparmio economico sarebbe relativamente marginale: circa 90 milioni di euro a fronte di una spesa totale di circa 9 miliardi di euro. Bisogna anche poi chiedersi quale siano le potenziali conseguenze sociali dell'esclusione di un numero di persone. In generale, più è bassa la soglia, più è difficile giustificarla e più sono alti i costi di distorsione".
D: In un suo recente lavoro lei sottolinea che c’è stata “un’inversione delle fortune” dagli anni ’90 ad oggi, con lo 0,1% più ricco della popolazione che ha visto raddoppiare la ricchezza netta media reale. Qual è il prossimo passo per invertire la rotta?
R: "All'interno dello studio a cui lei fa riferimento siamo riusciti ad osservare la quota di ricchezza totale che spetta a questo 0,1% più ricco della popolazione: stiamo parlando di 50mila individui che hanno visto raddoppiare la loro ricchezza netta media reale, cioè la somma di tutti i valori del patrimonio immobiliare e finanziario al netto dell’indebitamento. Parliamo di una media che è aumentata da circa 7,6 milioni di euro a circa 15,8 milioni di euro dal 1995 al 2016. Questo aumento di ricchezza netta media è avvenuto a fronte di un raddoppio della quota sul totale della ricchezza del paese dal 5,5% al 9,3%.
Nello stesso periodo abbiamo visto che il 50% più povero della popolazione adulta, ossia 25 milioni di adulti, passava dal controllare l’11,7% della ricchezza totale nel 1995 a circa il 3,5% al 2016. Dunque, in questo caso il calo della ricchezza media risulta essere di circa l’80%.
Detto questo, l'Italia rimane un Paese con una classe medio/alta di patrimonio relativamente forte: mi riferisco al 40% centrale della distribuzione. Invece, rispetto agli altri Paesi, la quota del 50% più povera ha visto uno dei declini più sostanziali in chiave comparativa.
Oltre a ciò, lo studio mette in evidenza alcuni altri elementi: il primo è che emerge chiaramente un ruolo crescente delle eredità e delle donazioni in vita, che sono praticamente raddoppiate come peso relativo rispetto al reddito nazionale dal 1995 al 2016: valevano circa il 7/8% del reddito nazionale nell’95 e oggi ne valgono più del 15%. Inoltre, non solo cresce questo peso ma cresce anche la concentrazione, cioè sempre meno persone raccolgono nelle proprie mani una quota sempre maggiore di questi grandi lasciti ereditari. Quindi, da un lato esiste il tema del riequilibrio dei trasferimenti di ricchezza e della tassazione di questi trasferimenti, ossia il tema del rafforzamento della progressività.
Esiste però anche un altro tema, cioè che la disponibilità di ricchezza è un fattore sempre più importante per il benessere delle famiglie e che questi patrimoni sono distribuiti sempre più disegualmente. Lo si vede non solo guardando alle fasce più ricche, ma anche a quelle più povere: per esempio l’Italia ha almeno 10 milioni di adulti che hanno pochissime risorse finanziarie a disposizione (anche meno di 2mila euro) per far fronte a uno shock di reddito senza cadere in condizioni di povertà assoluta. La pandemia e il lockdown hanno reso questa condizione abbastanza evidente.
È perciò importante incentivare l’accumulazione di ricchezza nelle fasce più deboli della popolazione, anche con misure di distribuzione come quella dell’eredità universale. Gli scopi sono rendere la società più dinamica, più propensa al rischio e più intraprendente e ridurre di gran lunga la percentuale di persone che versano in condizioni di vulnerabilità finanziaria.
I temi sono tanti. Cosa fare? il tema dei temi è l'evasione fiscale: più di 100 miliardi di euro ogni anno in meno di gettito, che combinati con una partecipazione al mercato del lavoro relativamente bassa significa che pochi cittadini pagano la gran parte del carico fiscale.
Questo carico fiscale, è non solo in realtà relativamente alto, ma è anche mal distribuito.
Esiste poi la questione dell’imposta sui redditi: attualmente è uno dei tributi più importanti del nostro sistema tributario, ha un gettito di circa 190 miliardi di euro. Lo sappiamo tutti, e lo sappiamo anche perché ci sono state varie consultazioni parlamentari al fine di discutere dell'eventuale riforma dell’Irpef. Sappiamo anche che la struttura dell'imposta dei redditi è iniqua perché pesa quasi esclusivamente sul lavoro dipendente e sulle pensioni. In aggiunta, molti dei redditi da lavoro autonomo, da impresa, da investimenti, da capitali, sono sostanzialmente esclusi dalla base imponibile dell’Irpef e vengono tassati con aliquote molto più basse, con cioè tassazione cedolare separata.
C'è dunque un tema di iniquità orizzontale: individui con uguale reddito vengono soggetti a tassazione diversa. Ma anche di iniquità verticale: non è detto che con il sistema attuale i redditi più alti siano soggetti a tassazione effettiva maggiore. Da qui nasce il tema della progressività dell'imposta sui redditi complessivi. La discussione sul se e come introdurre o virare il carico delle imposte sul patrimonio è una discussione importante, che purtroppo si fa poco nel nostro Paese.
Una delle argomentazioni forse più convincente a favore delle imposte patrimoniali è proprio quella che mette in evidenza come individui molto ricchi tendono ad evitare una buona parte del pagamento di imposte sul reddito proprio perché hanno la possibilità di cambiare la natura stessa del proprio reddito o di cambiare anche la tempistica di realizzazione del proprio reddito. Quindi accade che persone molto ricche abbiano un'aliquota media effettiva sui propri redditi complessivi molto bassa.
Alcuni dicono che l’attuale struttura di tassazione dei patrimoni nel nostro paese, che ha una struttura reale, sia particolarmente efficiente e poco costosa da amministrare, anche perché più difficile da eludere e da evadere. È vero. Tuttavia, ci sono anche delle osservazioni contrarie che tendono a dire che questa tipologia di tassazione sia iniqua, poiché tassa in maniera uguale piccoli e grandi patrimoni. Si pensi all’imposta sul valore immobiliare o al bollo sui titoli di investimento sui conti correnti. Una patrimoniale personale invece potrebbe aiutare a migliorare il grado di progressività del nostro sistema tributario. facendo sì che chi ha una capacità contributiva maggiore contribuisca di più alle spese. Ci vorrebbe più dibattito in merito su tutte queste questioni e non solo reazioni istintive".