La querelle che ha interessato le nazioni dell’Unione Europea e AstraZeneca e Pfizer (le principali case farmaceutiche occidentali impegnate nella produzione di vaccini per il Covid-19), relativamente al taglio arbitrario delle forniture decretato da queste ultime, è un’istruttiva lezione per le future rotte politico-economiche del Vecchio Continente.
L'importanza dell'interesse nazionale
In primo luogo, scopre quelle pulsioni da tempo latenti sul valore geopolitico e strategico della corsa al vaccino. Alla prova dei fatti, la statunitense Pfizer e la britannica AstraZeneca si sono comportate come compagnie di bandiera, dando priorità alle forniture per la popolazione dei propri Paesi.
AstraZeneca in particolare ha valorizzato l’interesse nazionale del Regno Unito: Londra ha infatti dato il via libera all’utilizzo del vaccino AstraZeneca solo il 31 dicembre 2020, poco dopo la formalizzazione dell’accordo con l’Ue, al fine di non avere vincoli legali sulla condivisione del brevetto. Inoltre, ha annunciato poco prima del taglio delle forniture della compagnia all’Ue che produrrà 100 milioni di dosi nell’impianto di Wrexham, in Galles, di proprietà della Cp Pharmaceuticals.
Pfizer, invece, ha seguito due moventi. Uno politico, come ricordato su Osservatorio Globalizzazione, dato che l’azienda “si sta attenendo all’ordine esecutivo firmato da Trump l’8 dicembre per il vaccino contro il coronavirus, dando priorità agli americani rispetto alle nazioni straniere, il c.d. Covid-19 Vaccine Executive Order Prioritizing Americans”. A cui si aggiunge un secondo movente di ordine economico relativo alle ridotte marginalità del mercato europeo: l’Europa paga 14,50 dollari per ogni dose Pfizer, contro i 19,50 degli Stati Uniti e i 28 di Israele. Logico dunque pensare che Pfizer dirotti su Tel Aviv, preferibilmente, i frutti della ridotta capacità produttiva residua dopo l’assorbimento delle dosi da parte del mercato statunitense.
Non ci si può affidare solo alla logica di mercato
In secondo luogo, l’Unione Europea si trova di fronte alla necessità di fare fronte con un mondo sempre più competitivo in cui le regole economicistiche non valgono più come ordinatore degli affari internazionali (se mai effettivamente sono valse…) e privi di strumenti di coercizione anche gli appelli politici al rispetto degli accordi rivolti ai giganti del farmaco rischiano di risultare inefficaci.
La sudditanza psicologica alle regole del mercato ha portato l’Ue a dimenticare l’applicazione delle regole di concorrenza. La spinta a mantenere una discutibile segretezza sugli accordi con Big Pharma ha ridotto la capacità di farli effettivamente rispettare alla prova dei fatti. Il nodo della segretezza degli accordi siglati dall’Ue con le case farmaceutiche non nascondeva presunti “complotti” su prezzi, tutele legali e questioni simili ma era volto a celare le discrasie tra gli annunci che parlavano di piogge di vaccini in arrivo dall’inizio del 2021 e una realtà dei fatti in cui le tempistiche e le dinamiche legate a produzione, stoccaggio e distribuzione delle dosi avrebbero potuto creare frizioni tra case produttrici e Paesi riceventi. Cosa poi avvenuta nel caso europeo.
Troppa centralizzazione è dannosa
Terzo punto, l’Unione Europea ha commesso un errore nell’avocare a sé il massimo grado di competenze sulla politica vaccinale trovandosi in imbarazzo di fronte a ogni prospettiva di azione autonoma. Quando l’Ungheria di Viktor Orban ha aperto la porta al vaccino russo Sputnik V molti a Bruxelles hanno storto il naso, ma dopo i ritardi di Pfizer e AstraZeneca anche le autorità sanitarie della Commissione non hanno potuto fare a meno di prendere in considerazione l’antidoto prodotto da Mosca. E presto Budapest potrebbe far lo stesso con il cinese Sinopharm.
La ragion di Stato, ça va sans dire, anima le scelte del governo ungherese. Parimenti, si può forse biasimare la Germania di Angela Merkel per aver fiutato il vento che cambiava e, in nome dell’interesse nazionale, provveduto a firmare con la Pfizer e la sua Biontech accordi paralleli per una quota extra di forniture? In questo contesto, sicuramente no.
L'autonomia strategica
Quarto, e decisivo, punto è stato il rifiuto di applicare su scala sistemica le dottrine nascenti sull’autonomia strategica europea alla corsa ai vaccini. Singole istituzioni come la benemerita Banca Europea degli Investimenti hanno applicato politiche di finanziamento spinto a diversi produttori di vaccini, come Biontech, e i governi nazionali hanno spinto sull’acceleratore del finanziamento pubblico.
Ma a livello comunitario è mancata l’ambizione di porre in essere una grande strategia omnicomprensiva capace di racchiudere al suo interno: certezze per l’acquisizione di quote di produzione per gli attori europei; la predisposizione di linee guida comuni per la logistica vaccinale e il coordinamento delle strategie nazionali; un credibile margine di manovra per gli Stati capace di valorizzare il principio di sussidiarietà e dar loro la possibilità di reagire agli imprevisti; un coordinamento delle politiche di sicurezza di fronte alle minacce alle forniture, prima fra tutte quella materializzatasi di una sostanziale inadempienza contrattuale da parte del big tech; politiche di aggregazione per il rafforzamento dei campioni europei del farmaceutico e biomedicale.
L’Europa sta cercando la sua autonomia strategica sul cloud dati (Gaia-X), sulle politiche spaziali (con la sfida a Starlink di Space-X), e perfino, notizia di pochi giorni fa, su filiere critiche in cui l’industria continentale arrancava come quella delle batterie. Ci chiediamo perché la visione strategica di politici come il Commissario al Mercato Interno Thierry Breton non sia stata messa al servizio di un’ambiziosa strategia di tutela delle prerogative e della sovranità europea nella partita sanitaria più importante del secolo.
L’azione di singoli Stati in certi casi ha supplito: la Francia ha strappato per la sua Sanofi quote di produzione in concessione del vaccino Pfizer, mentre in Italia Reithera sta venendo finanziata apertamente dalla holding pubblica Invitalia. Ma la sfida del Covid-19 impone e imponeva da tempo strategie di rilancio di una coesa e decisa strategia europea capace di andare oltre i vincoli economicistici cui troppo spesso l’Unione si adegua.
Come rimediare agli errori sui vaccini?
Quotidiano Sanità ha prospettato di recente una soluzione molto dura ma che avrebbe assolutamente senso dato l’atto ostile dei giganti del farmaco: parlando relativamente al caso italiano, estendibile al resto d’Europa, la rivista sanitaria ha sottolineato che una nazione potrebbe chiedere l’attivazione delle “clausole speciali previste in caso di emergenze sanitarie e pandemie dall’articolo 31 dell’Accordo Trips (The Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights, in italiano, “Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale”) sottoscritto dai membri dell’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO) che consentono di bypassare i brevetti e concedere licenze obbligatorie per la produzione di farmaci essenziali”, posizione che l’India e il Sudafrica hanno proposto a un recente summit del Wto. Una scelta del genere rappresenterebbe il contrattacco decisivo dell’Ue contro Big Pharma e sarebbe anche difficile da controbattere se opportunamente propagandata. Ma il pregiudizio economicista è duro a morire anche quando si parla, letteralmente, di questioni di vita o di morte.
Un’autonomia strategica europea capace di valorizzare, e non deprimere, le sovranità nazionali appare la strada maestra per difendere il benessere, la sicurezza e la salute pubblica delle popolazioni del Vecchio Continente in un contesto globale che, anno dopo anno, si fa sempre competitivo e che la pandemia ha ulteriormente turbato.
La sfida al Covid-19 potrebbe durare ancora a lungo: ma nel contesto della risposta alle sue conseguenze politiche, economiche e sociali si possono tracciare le rotte di un’effettiva sovranità europea cui anche Paesi come l’Italia, custodi del fianco mediterraneo del Vecchio Continente, potrebbero, giocando con criterio la partita, dare il loro contributo. E sui vaccini politiche forti e comuni sarebbero a dir poco vitali.