Nel settembre del 1945 l’economista e scienziato politico Friedrich von Hayek, allora professore alla London School of Economics, pubblicò “The Use of Knowledge in Society”1Traducibile in italiano come “L’impiego della conoscenza nella società”.. Hayek aveva brillantemente intuito la natura del mercato come fenomeno emergente, oltretutto in anticipo sui tempi. Infatti, l’articolo che avrebbe reso celebri i sistemi complessi ("More is Different"2Traducibile in italiano come “Di più è diverso”.) sarebbe uscito solo nel 1972, a firma di Philip W. Anderson.
Il problema del calcolo economico
Fin dai tempi di Adam Smith gli scienziati sociali e i filosofi si sono interessati all’ordine che emerge nel sistema economico. Per Smith era la ricerca del vantaggio personale quella forza che, come una mano invisibile, spingeva il mercato verso l’armonia3Questa è l'interpretazione convenzionale di Adam Smith. Per un'interpretazione alternativa, si possono vedere "Economia dei sentimenti", curato da Michele Bee e l'articolo di Michele Bee"The pleasure of exchange: Adam Smith's third kind of self-love" pubblicato sul Journal of the History of Economic Thought nel 2021 (nota della redazione)..
La descrizione formale di questa dinamica venne affrontata più tardi con la costruzione della teoria neoclassica (o marginalista). Sfruttando l’analisi reale, che aveva funzionato brillantemente per la fisica di Newton, studiosi come Léon Walras proposero una formalizzazione dell’economia per tentare di spiegare il funzionamento dell’economia di mercato, diffusasi ormai in tutto l’Occidente.
Senza entrare nei dettagli tecnici dei modelli, possiamo comunque darne un’idea. I consumatori sono considerati individui onniscienti, in grado di ordinare le loro preferenze rispetto alle diverse quantità di beni consumati e ottimizzare il benessere che ne traggono, limitati da un vincolo di spesa. Le imprese, invece, massimizzano i profitti, limitate da un vincolo produttivo.
In questo contesto, con un’ipotesi tecnica aggiuntiva (detta di market clearing), l’economia raggiunge un equilibrio competitivo: un’allocazione e un prezzo per ogni bene tali per cui, considerati i vincoli, i consumatori massimizzano il loro benessere e le imprese massimizzano i loro profitti. Questo equilibrio non soltanto esiste, ma sotto certe ipotesi è anche ottimale, cioè garantisce che, per aumentare il benessere di un agente, è necessario diminuire quello di un altro.
Ma qualcosa cambiò con la Rivoluzione di Ottobre. Poiché lo sviluppo teorico dell’economia era legato a doppio filo alla progressiva diffusione del libero mercato, la rivoluzione bolscevica e il primo esempio applicato di un'economia pianificata ebbero un’importanza epocale per la disciplina stessa. Che cosa aveva da dire la teoria economica sul funzionamento di un’economia come quella socialista? Questa domanda generò un acceso dibattito sulla possibilità del calcolo economico in economie di tipo pianificato.
Il dibattito era stato in parte anticipato da Enrico Barone. Nel 1908 il militare ed economista italiano propose un modello in cui un pianificatore benevolente risolveva il problema dell’allocazione delle risorse in maniera ottimale. Un lavoro che, rimanendo in seno al quadro dell’economia neoclassica, dava una risposta affermativa alla possibilità del calcolo in economia socialista.
Tradizionalmente, però, l’inizio della diatriba si fa risalire all’opera dell'economista austriaco Ludwig von Mises. In "Economic Calculation in the Socialist Commonwealth"4Traducibile in italiano come “Il calcolo economico nella repubblica socialista”., von Mises scriveva che il calcolo economico non è possibile in un’economia di tipo socialista, perché la mancanza di un mercato dei fattori di produzione e quindi dei prezzi impedisce il calcolo economico e quindi un’allocazione ottimale delle risorse. Mancano gli imprenditori che, mossi dalla ricerca del profitto, decidono dove allocare le loro risorse.
A fare da contraltare alle tesi di von Mises fu l’economista polacco Oskar Lange, che introdusse un modello di stampo neoclassico per descrivere un’economia di tipo pianificato. Per incorporare caratteristiche tipiche delle economie di mercato, Lange propose una piattaforma di controllo centrale, gestita da burocrati incaricati di determinare i prezzi attraverso un processo di tentativi ed errori, in modo tale da garantire l’uguaglianza tra prezzo e prodotto marginale.
Il risultato sorprendente fu che, dal punto di vista analitico, il modello di Lange giungeva a un equilibrio ottimale. Al tempo, gli articoli di Lange sembravano aver chiuso la questione: pur adottando caratteristiche delle economie di mercato, il calcolo economico poteva essere svolto anche in economie socialiste.
La soluzione di Hayek
È in questo dibattito che si inserisce l’articolo di Hayek, anche lui, come von Mises, esponente della scuola austriaca saldamente ancorato alla difesa del libero mercato.
Il nucleo della tesi di Hayek parte da una ridefinizione del problema del calcolo economico. Per la teoria neoclassica il problema è: avendo a disposizione le preferenze e le informazioni rilevanti, qual è il miglior modo di utilizzarle? Ma per Hayek non è questo il problema che ci troviamo ad affrontare nella realtà, anzi. Le informazioni in possesso della società, infatti, non sono mai date in toto, bensì sono distribuite tra vari agenti economici.
Quindi, il problema diventa come assicurare che le informazioni in possesso dei singoli agenti siano utilizzate in maniera efficiente, considerato che non è possibile aggregarle in un singolo individuo. In virtù di questa impossibilità, la soluzione di Hayek è proprio quella decentralizzata: un libero mercato in cui gli agenti si coordinano, sfruttando la loro limitata conoscenza della situazione che li circonda, attraverso un meccanismo per scambiare informazioni. Questo meccanismo per Hayek è il sistema dei prezzi.
Immaginiamo, come fa Hayek nel suo articolo, che nel mondo vi siano nuove opportunità per l’utilizzo dello stagno o che una delle miniere da cui esso viene estratto sia stata chiusa. Non importa quale delle due cose renda lo stagno più scarso, sottolinea Hayek: quello che importa è che, attraverso il sistema dei prezzi, gli agenti possono comprendere che lo stagno è meglio impiegato altrove e quindi deve esserne ridotto il consumo. Una volta che alcuni agenti hanno compreso ciò, l’informazione si diffonderà a cascata anche agli altri agenti. Proprio l’interazione tra gli agenti economici, coordinati attraverso il sistema dei prezzi, genera quell’ordine che vediamo nel mercato.
A differenza dell'economia pianificata, quindi, la soluzione del problema del calcolo economico non proviene dalla conoscenza perfetta in mano a un singolo agente, quanto dall'interazione di agenti provvisti di informazioni limitate.
Una visione anticipata in qualche modo dal geniale matematico Henri Poincaré. In un carteggio con il già citato Walras, Poincaré sottolineò come l’ipotesi di una razionalità ubiqua fosse quantomeno discutibile e che, sulla scia degli studi di Bachelier sul moto browniano applicato ai mercati finanziari, la capacità di estrarre informazioni e segnali dal mercato derivasse da effetti gregge tipici delle società umane.
Su queste basi, per Hayek, si dimostrava la superiorità del libero mercato, non solo rispetto alla pianificazione economica di tipo sovietico o sulla programmazione degli “Stati imprenditori” che caratterizzò vari paesi europei durante i Trenta gloriosi (1945-1975), ma anche rispetto alle politiche di tipo fiscale e monetario vicine alla tradizione keynesiana.
Cosa possiamo imparare da Hayek
Le riflessioni di Hayek sull’economia come un sistema complesso non restano confinate alla storia del pensiero economico, ma offrono ancora oggi spunti interessanti.
In primo luogo, questa visione “complessa” del mercato è in netta controtendenza con gli sviluppi successivi dell’economia che, soprattutto dopo la critica di Lucas (avanzata compiutamente nel 1976), ha tentato di incorporare sempre di più le aspettative nei propri modelli. Il problema è che, proprio per la difficoltà di trattare l’eterogeneità dal punto di vista analitico, questo approccio economico ha finito per ricondurre i fenomeni macroeconomici a un agente rappresentativo onniveggente, che risolve problemi di controllo ottimo da qui all’eternità. Un risultato piuttosto discutibile…
D’altro canto, in questi anni ha iniziato a diffondersi una visione diversa, che studia i fenomeni sociali ed economici come sistemi complessi, rifacendosi ai modelli e metodi sviluppati nel campo della fisica statistica. Un approccio in piena fioritura, nonostante persistano vari ostacoli.
Nel campo macroeconomico vi è particolare attenzione verso i modelli ad agenti (agent-based models), che in realtà avevano già preso piede in ambito sociologico con il modello di Schelling. Si tratta di modelli che sfruttano le potenzialità delle simulazioni numeriche per riprodurre il funzionamento dell’economia con agenti che hanno interazioni locali e utilizzano conoscenze limitate.
Ma c’è anche un altro spunto che possiamo cogliere dalle intuizioni di Hayek. Per l’economista austriaco la superiorità del libero mercato sulla programmazione e il command-and-control non si applica sempre. È eloquente a tal proposito un passaggio del suo libro "Freedom and the Economic System". In certi casi, scrive Hayek, una pianificazione centrale è necessaria perché vi potrebbe essere un obiettivo, condiviso dalla maggioranza della popolazione, raggiungibile solo con la coercizione. Ad esempio, il contrasto alla diffusione di malattie infettive.
Qui, però, occorre fare una distinzione. Come sottolineano alcuni studiosi, bisogna distinguere le conclusioni di Hayek sul libero mercato dalle sue idee politico-economiche: le une non sono necessariamente implicazioni logiche delle altre. Certo, Hayek poteva pure mostrare i limiti del mercato da un punto di vista teorico, ma nel suo scritto più politico ("La via della schiavitù"5Il titolo originale è "The Road to Serfdom") sosteneva che le politiche di pianificazione andavano contrastate in quanto minaccia alla libertà individuale.
Oggi, quasi paradossalmente, l’Hayek teorico viene ripreso anche a sinistra. Infatti, le sue idee sul mercato come sistema complesso interessano anche i sostenitori di una pianificazione economica più decisa. Tra questi c’è l’economista Mariana Mazzucato, che vede proprio nella natura complessa del mercato una ragione per l'interventismo statale. Andando oltre le teorie del fallimento del mercato, troppo concentrate su situazioni di equilibrio neoclassico, lo Stato imprenditore che ha in mente Mazzucato dovrebbe adottare strategie che tengano conto della natura dinamica del mercato e dell’informazione localizzata in modo tale da catalizzare queste forze. È lo stesso problema affrontato anche da economisti più mainstream come Dani Rodrik, interessato a come questa strategia possa coniugarsi con quella dei good jobs.
Ha mai letto il problema della complessità in Keynes (non nei keynesiani)? Come introduzione, può leggere il mio libro, Keynes on uncertainty and tragic happiness. Complexity and expectations, Palgrave Macmillan, 2022 (Anna Carabelli)
Degna constatazione ed invito, a leggere cioè il Keynes ‘probabilistico’. Vado subito a vedere il suo testo.