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Attualità • Teoria e pensiero economico

Il ritorno dello Stato: un nuovo orizzonte al Festival di Trento

La crisi pandemica ha messo in luce le inefficienze del libero mercato e ha rinnovato l’importanza dell’intervento pubblico all’interno della dimensione economica. In questo anno e mezzo lo Stato ha ricoperto, infatti, un ruolo fondamentale in diverse attività essenziali: dalla tutela della nostra salute alla lotta contro la povertà, dalla riduzione delle disuguaglianze alla creazione di un benessere collettivo. Sebbene il ricorso allo Stato sia indispensabile in determinate situazioni, la presenza troppo diffusa del settore pubblico può rappresentare un rischio considerevole nel lungo periodo.

Il Festival dell’Economia di Trento di quest’anno si è concentrato proprio sul “ritorno dello Stato”. Nelle quattro giornate della manifestazione personalità illustri del mondo economico hanno discusso su questo tema in un’ottica pluralista e multidisciplinare, dando un contributo sostanziale al dibattito socio-economico.

Joseph Stiglitz: il ritorno dello Stato e la fine del neoliberismo

Uno dei primi interventi è stato quello di Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001. Il tema principale della sua riflessione è il ruolo delle esternalità: la pandemia di Coronavirus, insieme all’attuale crisi climatica, ha sconvolto l’assetto socio-economico neoliberista fondato sulla razionalità indiscussa del mercato.

Nella teoria economica, le esternalità sono gli effetti che si determinano al di fuori delle transazioni di mercato e che influenzano il benessere della collettività. Questi fenomeni generano inefficienza all’interno del sistema e portano al cosiddetto “fallimento del mercato”, pertanto essi costituiscono una delle principali ragioni dell’intervento pubblico. Secondo il celebre economista, le esternalità del nostro tempo non sono più un fenomeno di “secondo ordine”, bensì rappresentano un elemento predominante nella definizione delle dinamiche economiche e sociali. Per tale ragione, l’intervento statale, insieme alla regolamentazione dei mercati, è un correttivo essenziale. Inoltre, l’economista statunitense vede nella crescita delle disuguaglianze, e più in generale nell’ingiustizia sociale, l’origine di nuove esternalità che il mercato non è in grado di assorbire.

Nel “post-neoliberal model” di Stiglitz è la società a plasmare la realtà della struttura economica e non il contrario: l’economia è al servizio delle persone e lo Stato è l’agente principale nella gestione degli squilibri del mercato. Per determinare questa nuova struttura, è necessario “invertire la rotta”: le politiche economiche finalizzate alla realizzazione di questo cambiamento implicano maggiori investimenti in beni pubblici, una migliore regolamentazione dei mercati e un rafforzamento dei diritti dei lavoratori. Stiglitz ci esorta, infine, a riflettere sul significato dei nostri codici valoriali e deontologici e a riscoprire la loro importanza nel processo di ridefinizione della dimensione sociale e, quindi, economica.

Philippe Aghion: il potere della distruzione creativa

Un contributo interessante è stato anche quello di Philippe Aghion, professore al Collège de France e alla London School of Economics. Aghion, basandosi sul concetto schumpeteriano di distruzione creativa, elabora una nuova teoria economica della crescita. Per “distruzione creativa” si intende il processo in base al quale le innovazioni tecnologiche e gestionali rivoluzionano il ciclo produttivo industriale e accelerano l’evoluzione del sistema economico.

Interiorizzando questo concetto nella sua argomentazione, l’economista francese si oppone all’idea largamente diffusa secondo cui le nuove tecnologie sono responsabili dell’aumento di povertà e della riduzione del tasso di occupazione. L’evidenza empirica sembra confermare questa tesi, suggerendo una correlazione positiva tra il numero di brevetti, il Pil, la proliferazione di imprese e il grado di turnover occupazionale. In questa prospettiva, il settore pubblico ha il compito di incentivare l’innovazione rendendola uno degli obiettivi principali dell’agenda politica: lo Stato - citando l’economista Mariana Mazzucato, altra ospite del Festival - deve diventare innovatore e promotore di nuove conoscenze.  

Secondo Aghion, c’è, però, una grande contraddizione nella teoria di Schumpeter, in particolare nel carattere cumulativo del progresso tecnologico. Nella concezione originaria di distruzione creativa, l’innovazione è un processo diffuso in grado di coinvolgere tutto il sistema: questa interpretazione è, tuttavia, lontana dalla realtà. L’innovazione, infatti, porta spesso alla creazione di forme imperfette di mercato e ad un aumento del potere monopolistico: l’innovatore “blocca” la diffusione della propria invenzione per conseguire profitti maggiori, impedendo alla distruzione creativa di espandersi.

L’intervento pubblico può mitigare il rischio di monopoli troppo estesi e garantire una buona politica di competitività nei diversi mercati. Nel nuovo modello di crescita ideato dall’economista francese, lo Stato promuove l’innovazione e riduce le disuguaglianze grazie ad un efficace impianto di regolamentazione.

Thomas Piketty: per un socialismo partecipativo

Un’altra testimonianza, ricca di spunti di riflessione, è stata quella di Thomas Piketty, professore presso l’EHESS e la Paris School of Economics. Con il suo ampio discorso, Piketty cerca di spiegare la necessità di una convergenza verso un modello di capitalismo più inclusivo, che egli stesso definisce “socialismo partecipativo”. Questo assetto economico e sociale prende le distanze rispetto all’economia di mercato anglosassone e al socialismo di Stato cinese, avvicinandosi di più alla realtà del mondo tedesco.

Il capitalismo “consociativo”, tipico della Germania e dei paesi del Nord Europa, è un modello ispirato ad un’economia sociale di mercato: si cerca di contemperare l’obiettivo della competitività economica con quello della coesione sociale. Questo sistema è caratterizzato da alcuni elementi distintivi: la centralità dello Stato nell’arena economica e sociale, la copertura universale del modello di welfare, gli elevati livelli di sindacalizzazione, la tutela dell’occupazione garantita dalle politiche attive del mercato del lavoro.

Un aspetto peculiare di questa forma di capitalismo riguarda il consociativismo all’interno delle grandi imprese: la partecipazione delle organizzazioni di lavoratori è estesa e raggiunge i livelli apicali della struttura aziendale, ciò garantisce un elevato grado di rappresentanza sociale all’interno del mondo economico.

Inoltre, l’economista francese si dichiara fiducioso rispetto all’evoluzione futura del capitalismo. Per Piketty, esiste, infatti, un “movimento propositivo” verso un livello generalizzato di uguaglianza: si tratta di un processo storico e naturale il cui fine ultimo è una riduzione sempre maggiore delle disuguaglianze.

Daron Acemoglu: il risveglio del Leviatano e il ruolo della società civile

L’intervento di Daron Acemoglu, celebre professore del Massachusetts Institute of Technology, è stato altrettanto stimolante e ricco di intuizioni. L’argomento centrale del suo pensiero riguarda gli effetti distorsivi dello strapotere statale: Acemoglu sostiene, infatti, che una presenza pletorica dello Stato nel panorama socio-economico possa rischiare di “risvegliare il Leviatano” e dare vita a fenomeni di dispotismo.

Nell’opera filosofica di Thomas Hobbes, lo Stato assoluto viene simbolicamente rappresentato come una creatura mostruosa e temibile a cui tutti gli individui devono obbedire. L’economista turco, rievocando l’immagine del Leviatano hobbesiano, spiega che uno Stato ipertrofico può rivelarsi un pericolo per la democrazia e per la libertà. Secondo Acemoglu, è essenziale costituire una società civile forte, consapevole e reattiva per limitare l’estensione del potere statale.

Da questo punto di vista, le istituzioni sociali svolgono un compito di grande rilevanza, ossia quello di evitare episodi di preminenza eccessiva garantendo un’equilibrata redistribuzione del potere pubblico. Per Acemoglu, solamente un perfetto equilibrio tra le due dimensioni - quella pubblica e quella sociale - può assicurare la difesa dei principi democratici di libertà.

Un nuovo orizzonte

Ognuno di questi pensatori si è cimentato nell’interpretare le implicazioni del “ritorno dello Stato”, adottando diverse chiavi di lettura e proponendo visioni differenti del modello contemporaneo di capitalismo. Nonostante le loro prospettive possano sembrare dissimili, l’idea di fondo è comune: l’azione dello Stato è indispensabile per correggere le lacune del sistema economico. In particolare, l’intervento pubblico è essenziale nelle situazioni di crisi per evitare l’acuirsi delle disuguaglianze e per favorire la ripresa economica e sociale.

Il momento storico che stiamo vivendo ci ha spinti a ripensare all’ortodossia socio-economica del nostro tempo e a ridefinire modelli economici che prima sembravano inviolabili. Il Festival di Trento ha approfondito questi temi importanti, fornendo un'occasione per affinare il pensiero critico dei partecipanti.

Ascoltare le parole dei grandi economisti ci aiuta a riscoprire il valore delle nostre azioni nella dimensione sociale e rappresenta il primo passo per “ri-umanizzare” l’economia, riportando gli ideali dell’uomo al centro del nostro orizzonte.

Data
27 Giugno 2021
Articolo di
Jacopo Sala

Jacopo Sala

TAG
economia, intervento pubblico, stato

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Jacopo Sala

Jacopo Sala

Studia Economics all'Università Cattolica di Milano. È profondamente interessato alla realtà economica e ai suoi fondamenti. Ha una grande passione per la filosofia e la letteratura.

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